Brutti ma buoni (ma anche puliti e giusti)

Presentati i dati di una ricerca di Last minute market per verificare i reali benefici del progetto di recupero dei prodotti invenduti di Coop Adriatica

L'invenduto che diventa risorsa

22/03/2013

1.100 tonnellate di alimenti recuperati, 5,4 milioni di euro di valore risparmiati, 23mila beneficiari individuati esclusivamente tra persone in difficoltà. Sono i numeri dell'ultimo anno di "Brutti ma Buoni", il progetto nato, promosso e sostenuto da Coop Adriatica avvalendosi delle competenze di "Last minute market", società nata sotto l'egida del professor Andrea Segrè. L'idea è semplice ma efficace: non buttare via i cibi un po' ammaccati o in procinto di scadenza per raccoglierli e donarli a chi ha bisogno. Sono ormai dieci anni che Coop Adriatica ha intrapresa questa strada di responsabilità e consapevolezza, da quando, nel 2003, per la prima volta, la "filiale" di Villanova di Castenaso (Bologna) aprì le porte a quel gruppo di ricercatori di Agraria così appassionati. Morale, oggi la raccolta degli invenduti a fini solidali è attiva in 85 punti vendita Coop distribuiti su quattro regioni. L'obiettivo del 2013 è allargare "il giro" anche a pane e prodotti da forno finora rimasti esclusi per ragioni logistiche, di freschezza dei prodotti e di conseguenza di costi.


La ricerca presentata oggi, venerdì 22 marzo, vuole proprio fare il punto sui benefici sociale e ambientali ed eventualmente sulle criticità emerse in questi dieci anni: «Dal nostro punto di vista - dice Adriano Turrini, presidente di Coop Adriatica - è un'iniziativa che tutela l'ambiente ed educa alla sobrietà e al rispetto delle risorse, coinvolgendo e sensibilizzando i lavoratori che realizzano la selezione nei negozi; i soci Coop volontari, che individuano le strutture beneficiarie e tessono reti di solidarietà sul territorio; e le stesse associazioni, che hanno imparato a gestire i prodotti ricevuti con sempre maggiore consapevolezza».

  

E ancora: «Vogliamo andare oltre: estendere il recupero a nuovi punti vendita e ad altre associazioni e, soprattutto, coinvolgere i soci nelle azioni di sostenibilità e di lotta quotidiana agli sprechi. Perché è nelle case di ciascuno che questa battaglia sarà vinta, e solo un'azione congiunta e più incisiva anche da parte dell'amministrazione pubblica potrà indirizzare i cittadini verso un consumo più consapevole e sostenibile, cioè "pulito e giusto"».


Entrando nello specifico della ricerca scopriamo che la valutazione dell'impatto ambientale è stata fatta sulla base dei valori ricavati da tre indicatori rappresentativi del consumo di risorse: il carbon footprint che misura la quantità totale di gas serra immesso nell'atmosfera lungo l'intero ciclo di vita di un prodotto o servizio; l'impronta ecologica che misura la superficie di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate durante il ciclo di vita di un prodotto; e infine il water footprint che corrisponde al volume totale di acqua utilizzata per la produzione di un determinato bene.

Dal punto di vista economico si è scelto di mettere in evidenza il valore della vendita dei prodotti recuperati: da una parte come potenziale risparmio per gli enti beneficiari, dall'altro come costo che sarebbe stato necessario per smaltire i prodotti.

Alberto Picci
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