Il crepuscolo del servizio civile

Compie dieci anni, ma ha già il fiato corto. Il Governo taglia i fondi. L'ultimo bando, che scade il 21 ottobre, prevede solo 20.123 posti. Bisogni e domande, invece, aumentano...

"Ne vale la pena". Parla chi l'ha fatto o lo sta facendo

18/10/2011
Lo striscione che ricorda i dieci anni del servizio civile nazionale negli stadi italiani. Qui: all'Olimpico di Roma, prima di Lazio-Parma, domenica 10 aprile 2011 (foto: serviziocivile.gov.it)
Lo striscione che ricorda i dieci anni del servizio civile nazionale negli stadi italiani. Qui: all'Olimpico di Roma, prima di Lazio-Parma, domenica 10 aprile 2011 (foto: serviziocivile.gov.it)

Nel 2011 il servizio civile volontario compie dieci anni. Dal 2001, infatti, sono in vigore le norme attuali che hanno sostituito la vecchia legge sull'obiezione di coscienza, emanata nel '72 su impulso dei movimenti pacifisti e antimilitaristi. I tempi in cui il servizio civile era un'alternativa alla naja ormai giacciono riposti nel cassetto dei ricordi. Sono cambiate le regole, sono cambiati i giovani, eppure qualcosa è rimasto costante nel tempo. Oggi come in passato il servizio civile è un'occasione per crescere, per riflettere e confrontarsi con realtà quotidiane a volte molto difficili.

Stefania Demichelis.
Stefania Demichelis.

Tra i 18.513 volontari attualmente in servizio sul territorio nazionale c'è Stefania Demichelis, 26 anni, piemontese, che ha deciso di impegnarsi con il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti. Scelta coraggiosa: la sua attività si svolge in una casa di accoglienza per malati di Hiv, molti dei quali hanno alle spalle storie di tossicodipendenza. Stefania vive gran parte della sua giornata con gli ospiti della casa, cucina insieme a loro, li aiuta a riordinare le stanze, li segue nel lavoro, nei momenti di riposo, nelle gite, nei laboratori artistici.

E poi, affiancata da educatori, medici e psicologi, partecipa alle attività di supervisione dei percorsi individuali. «Il contatto umano è l'aspetto fondamentale», racconta. «Ho scelto questo luogo per un bisogno di andare oltre la superficie, per approfondire e verificare i miei valori. Il lavoro è duro e ci espone al contatto con la malattia e la sofferenza, ma io me ne sono innamorata. Non sempre questo succede, ovviamente, però penso che un'esperienza del genere sia un bagaglio prezioso per tutti, anche per chi poi sceglie strade diversissime».

Come tanti ragazzi della sua età, Stefania si prepara a entrare nel mondo del lavoro: «Mi piacerebbe trovare un impiego nel sociale e credo che questi mesi di Servizio siano stati un buon banco di prova. Però so che la realtà lavorativa è diversa: qui sono stata seguita da un team molto affiatato e mi sono sempre sentita libera di esprimere la mia opinione. Non è detto che questo mi ricapiti in futuro". Di ragazzi come Stefania il Gruppo Abele avrebbe un gran bisogno, ma ultimamente la crisi si sente. «Fino al 2005 – spiega Emanuela Olivo, responsabile per il servizio civile - potevamo contare su 40 ragazzi per anno. Attualmente ogni bando ci assegna appena 12 volontari, mentre le richieste sono a volte anche 90: è frustrante dover dire di no a tante persone motivate».

Paolo Dell'Oca.
Paolo Dell'Oca.

C'è anche chi si lancia verso orizzonti lontani, scegliendo un'esperienza all'estero. Paolo Dell'Oca, milanese, 30 anni e un grande amore per l'Africa, ha trascorso un anno in Etiopia, seguendo un progetto della Caritas Ambrosiana. Ha lavorato fianco a fianco col cappellano di un carcere, vicino ad Addis Abeba. «Ascoltare: questo era il mio ruolo»,  racconta. «Stare vicino alle persone, portare un po' di accoglienza e di spiritualità in un luogo completamente isolato».

Lì, Paolo ha incontrato gente incarcerata per errore o semplicemente per povertà. «Ho conosciuto una ragazza diciottenne, che aveva subito violenza e invece di trovare giustizia era stata arrestata per furto. Era incinta, ma non aveva denaro per crescere il bambino, che infatti è stato dato in adozione. Nel ricordare quella storia provo un misto di sentimenti opposti: da un lato il dolore di una mamma costretta a separarsi da suo figlio, dall'altro la speranza di chi, come il cappellano,  gli infermieri e le persone della casa di adozione, ha lavorato per dare al piccolo un futuro migliore».

Finito il servizio Paolo non si è allontanato dalla Caritas ambrosiana: anzi, è proprio lì che oggi lavora. Ripensando al suo anno in Etiopia dice: «La ricchezza di questa esperienza sta tutta nel suo nome: servizio. Il luogo non conta: in Africa o ad Abbiategrasso lo spirito è lo stesso. Non si tratta di aggiungere un titolo al curriculum, ma di crescere, prendersi cura di se stessi e degli altri, credere nei propri sogni e dare spazio a uno sguardo nuovo». 

Lorenzo Montanaro               

A cura di Alberto Chiara
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