Il lungo cammino della pace

La Marcia Perugia-Assisi festeggia i 50 anni di vita. Cronaca, testimonianze, riflessioni di un appuntamento che è rimasto coscienza critica per un modo lacerato da odio e guerre.

Gianni Rodari, un cronista d'eccezione per la "prima"

25/09/2011

Accadde mezzo secolo fa. «Assisi, 24 settembre 1961: settecento anni sono passati da quando il più umile e il più grande figlio dell'Umbria, Francesco, lanciava da questi colli, all'Italia e al mondo, il suo messaggio di umana fratellanza, di amore per la vita e le sue creature». È l’inizio della cronaca della prima Marcia per la pace. Con il commento di un cronista d’eccezione: Gianni Rodari. Nell’archivio della Tavola della Pace c’è il prezioso video con quel lungo servizio sulla processione che vide alla testa Aldo Capitini. Un testo firmato da famoso scrittore.

Eccone alcuni passaggi. «Nel secolo dei satelliti artificiali e della bomba all'idrogeno, una folla diversa si raccoglie all'ombra dell'antica rocca per ascoltare un nuovo messaggio di pace; è la stessa folla che oggi, domenica, riempie gli stadi o si sgrana lenta all'ora del passeggio cittadino. Ma su di essa piovono tristi e solenni le parole che il poeta turco Nazim Hikmet ha scritto in memoria delle 70mila vittime di Hiroshima, di una bambina giapponese che vive ormai solo in quei versi: “Avevo dei lucenti capelli: il fuoco li ha strinati, avevo dei begli occhi limpidi: il fuoco li ha spenti, un pugno di cenere: quello son io, poi venne il vento e ha disperso la cenere”». 

«Si conclude ad Assisi, poco prima del tramonto, la Marcia della Fratellanza e della Pace: venti, trentamila persone sono partite stamattina da Perugia; hanno percorso a piedi i lunghi e faticosi chilometri che separano il capoluogo dell'Umbria verde dalla città di san Francesco, solo per dire all'Italia e al mondo, in questa penultima ora del giorno: “Vogliamo vivere, vogliamo che il mondo viva, vogliamo che da un continente all'altro le mani si stringano.” Il professor Aldo Capitini, che ha ideato e organizzato la marcia, in collaborazione con associazioni democratiche, sindacati e uomini di cultura prende la parola per primo: "Questa marcia – egli dice – era necessaria e altre marce saranno necessarie nel nostro e negli altri Paesi, per porre fine ai pericoli della guerra». «Le bandiere hanno il colore dell'arcobaleno, ma il richiamo alla natura ha un suo significato speciale: l'arcobaleno, questa volta, lo vogliamo prima della tempesta, non dopo. La pace deve precedere, impedire la guerra, per non essere soltanto un doloroso bilancio di rovine. Molte città sono rappresentate dal loro sindaco. Di quando in quando un canto si leva dalle file del corteo, giovani e ragazze non si contentano dei muti cartelli: alla loro volontà di vita vogliono dare una voce più robusta».

«Due giovani e già famosi scrittori, Italo Calvino e Giovanni Arpino, aprono il corteo reggendo lo striscione che reca la scritta: Marcia della Pace e della Fratellanza. Il corteo si snoda di colle in colle come un discorso nel quale confluiscano argomenti diversi; lo vedete dai cartelli che fioriscono tutti dalla stessa profonda aspirazione alla pace, ma alla figura della pace recano ciascuno un tocco particolare. Così sarà, del resto, se vorremo la pace: essa potrà essere soltanto la somma e la moltiplicazione di volontà diverse, e non già il frutto uniforme dell'imposizione di una sola volontà sulle altre».

«Dopo cinque ore il corteo giunge ai piedi di Assisi; rimangono da affrontare gli ultimi chilometri fino alla Rocca, la salita stretta e ripidissima fra le antiche case. Il passo è sempre fermo e sicuro, ma più lento; quando la testa del corteo raggiungerà la cima della collina e l'ombra degli ulivi, la sua coda serpeggerà ancora lontano, in basso, nella dolce valle del Subasio. Ma dove giungerebbe, fin dove, il corteo dei 26 milioni di europei morti nella Seconda Guerra Mondiale, quello dei 6 milioni di ebrei trucidati nei campi di sterminio?»

Luciano Scalettari
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