Salvare l'Afghanistan, insieme si può

Vicende irte di difficolà, in un Paese dilaniato dalla guerra, dalla "importazione" della democrazia e da un governo che si macchia di crimini. Ecco come si cerca di dare una mano.

Una capra per aiutare le donne

05/10/2012

Cinquanta capre per 50 donne, ovvero 50 famiglie che potranno provvedere a sé stesse. È il “Regalo senza frontiere” che “Insieme si può...”, una rete di ottanta gruppi solidali, distribuiti prevalentemente nel territorio della provincia di Belluno, fa annualmente alle donne afghane, quelle più emarginate, discriminate, che vivono nei luoghi più miseri, in zone impervie, in mezzo alle montagne, per le quali la sopravvivenza è legata agli aiuti, anche solo a una capra, che può diventare un tesoro prezioso. Carla Dazzi, responsabile del progetto, in Afghanistan ci va dal 2002. Puntuale, ogni anno, per assistere personalmente alla consegna delle capre. «Perché non c'è niente di più bello che vedere la felicità negli occhi di queste donne, mentre ricevono un dono, per noi insignificante, ma per loro straordinario». La selezione delle destinatarie è fatta in collaborazione con Hawka (Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan) e Rawa (Revolutionary Association of the Women of Aghanistan), due associazioni locali, che si battono per i diritti delle donne.

«Il miglioramento della condizione femminile - afferma Selay Ghaffar, direttrice di Hawka, in Italia per un ciclo di incontri di sensibilizzazione - è divenuto parte dell'agenda politica, ma questo non ha comportato evoluzioni in positivo, perché chi sta al governo sono ex criminali di guerra, per i quali diritti umani sono parole vuote di significato. E non vi è alcun monitoraggio delle Nazioni Unite sulla reale applicazione delle risoluzioni che la comunità internazionale chiede al governo afghano per il rispetto delle donne. Del resto, nessuno dei governi che dichiara di voler affermare i diritti delle donne in Afghanistan, investe denaro per sostenere gli stessi diritti nel proprio Paese. Infine, la corruzione fa sì che, anche la presenza delle donne al governo, imposta come quota rosa, lasci spazio solo a quante sono legate da rapporti di parentela con gli attuali ministri».
E poiché l'agenda politica langue anche per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture sociali, bisogna ripartire dal concreto. Ecco allora l'iniziativa “Una capra per le donne afghane”. Quest'anno alcuni animali sono stati consegnati a Sharat Khorazan, un quartiere povero, privo di elettricità, nella zona est di Kabul. Dove la scuola è trascurata dallo Stato, gli insegnanti spesso disertano le lezioni perché non sono pagati, e mancano persino gli oggetti di cancelleria. Altri animali sono stati regalati a donne di Bamiyan, 250 chilometri circa da Kabul, il paese dei Buddha, distrutti a marzo 2001 dai talebani. Situato a 2.500 metri di altezza, è proprio un “posto da capre”. Le ultime diciassette sono andate ad Arghandai, nella provincia di Kandahar, ex roccaforte dei talebani, che rimane uno dei luoghi “caldi” del Paese. «Abbiamo dovuto fare tutto piuttosto in fretta, la consegna e via, perché molti dei villaggi dove ci siamo recati, non sono sicuri - continua Carla. Il rapimento di stranieri fuori Kabul va “molto di moda”.

Una capra affidata a una donna significa valore in termini di microcredito e serve al sostentamento della famiglia: dà latte, mette al mondo capretti, produce sterco da usare come combustibile. Le capre vengono acquistate in Tagikistan, al prezzo - elevato - di 250 euro l'una. Sono tra i pochi animali in grado di sopravvivere in terre aride e impoverite. «Potrebbero campare d'immondizia» dice la Dazzi. «Sono, inoltre, animali estremamente produttivi e funzionali». C'è pure un valore simbolico. «Le donne sono sostenute nel recupero, non solo dell'autonomia economica, ma anche dell'autostima e della dignità personale, con un ulteriore risvolto positivo. Gli uomini di Bamiyan si sono offerti di lavorare gratuitamente per contribuire alla causa della nostra associazione, riconoscendo così tacitamente il diritto delle loro donne alla gestione di un piccolo capitale. Inimmaginabile in un Paese dove un uomo che asserisce la parità dei sessi, può anche essere incarcerato per blasfemia».

Se qualcuno volesse aderire al progetto, può rivolgersi all'associazione: 0437/291298
e-mail: insiemesipuo@365giorni,org;
sito web: www.365giorni.org

Romina Gobbo
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