Papa Francesco, il mondo chiama Roma

Da Gerusalemme a Hong Kong, da Khinshasa a Rio de Janeiro: reazioni, attese e preghiere dopo l'elezione di Jorge Mario Bergoglio alla vigilia dell'inizio solenne del suo pontificato.

Qui Boston: l'entusiasmo degli immigrati, lo scetticismo dell'establishement

18/03/2013
Il cardinale Dolan (al leggio) ascoltato dall'arcivescovo emerito di New York Edward Egan (Reuters).
Il cardinale Dolan (al leggio) ascoltato dall'arcivescovo emerito di New York Edward Egan (Reuters).

Boston (Usa), marzo

Poco dopo le due di pomeriggio, ora di New York, l’America si ferma e – praticamente a reti unificate – si sintonizza su Piazza San Pietro, o meglio sul comignolo da cui usciva copioso il fumo bianco del conclave andato a buon fine. Si ferma anche Obama che, appena saputo dell’esito positivo della votazione, interrompe una riunione con un delegazione Repubblicana sul budget: “Ho già annunciato la fumata bianca ai colleghi”, dice ai giornalisti mentre si congeda quasi di corsa, “adesso bisogna andare tutti a sentire l’annuncio ufficiale. This is big news (è una grossa notizia)”.

E come tale i media a stelle e strisce l’hanno trattata, fin dalle dimissioni di Papa Benedetto. Di sicuro i network non si sono fatti cogliere impreparati da un conclave breve: corrispondenti ed inviati (compresi quelli degli affiliati locali) erano giunti in forze a Roma fin dai giorni scorsi e, da lunedì, due dei tre principali canali generalisti conducevano i telegiornali direttamente da piazza San Pietro. E dall’inizio del conclave, la CNN, rappresentata nella città eterna dall’anchorman di punta, Anderson Cooper, teneva sotto controllo il comignolo sul tetto della cappella Sistina in tempo reale, con un riquadro sempre aperto all’interno dell’immagine principale, anche durante la pubblicità.

Così, alle prime nuvolette di fumo, proprio come Obama, tutti almeno in TV hanno interrotto ciò che stavano facendo e sono immediatamente “andati a sentire l’annuncio ufficiale” o, in altre parole “a vedere chi è”. E nonostante la malcelata speranza che il nuovo pontefice fosse un loro connazionale, a giornalisti e commentatori americani quello che hanno sentito e visto non è dispiaciuto affatto, almeno a giudicare dai commenti, sia quelli a caldo sia quelli degli approfondimenti serali, quando nei tg dei network come nei palinsesti dei canali “all news”, non si è praticamente parlato d’altro.

Dopo averne ovviamente citato i primati (primo extraeuropeo, primo gesuita, primo “Francesco”), papa Bergoglio viene unanimemente definito come “semplice” ( particolarmente citato il fatto che prendeva l’autobus), “vicino ai poveri” e soprattutto, per il solo fatto di essere sudamericano e dunque lontano anche geograficamente dalla Curia romana, potenziale interprete  di quel rinnovamento e di quelle aperture di cui - e qui su questo sono veramente tutti d’accordo – la Chiesa cattolica mondiale sembra avere un gran bisogno.

Non mancano le opinioni autorevoli: su tutti il cardinale Edward Egan, ex arcivescovo di New York, intervistato un po’ ovunque, non risparmia gli elogi al nuovo pontefice: “Un uomo in cui  la gentilezza la disponibilità e il grande calore umano convivono con una profonda preparazione culturale e teologica”. Il tutto, va detto, corredato da una fotografia ricercata, curata nei dettagli, come meglio di tutti gli americani sanno fare, che riesce a raccontare in modo straordinario, per immagini, sia l’architettura che le emozioni di una Piazza San Pietro che per qualche giorno torna ad essere, almeno televisivamente, Caput Mundi.

Agli analisti dell’America del Nord, infine, non sfugge l’importanza di quella del Sud e del centro,  dove non solo vive il 40% dei cattolici del mondo, ma da dove proviene anche la maggior parte degli emigranti che negli Stati Uniti compensano l’emorragia di fedeli (molti scoraggiati dagli scandali) verso le denominazioni protestanti e permettono ai circa 77 milioni di seguaci della Chiesa di Roma di continuare a crescere, anche se lentamente, di numero. 

Ad annuncio ancora fresco i direttori editoriali più attenti sguinzagliano le telecamere nelle zone più “latine” d’America: Los Angeles, Miami ma anche certi quartieri di Chicago e di New York dove oramai lo spagnolo è lingua ufficiale. Prevedibile e grande è l’entusiasmo tra i tanti immigrati che, dal Messico alla Terra del Fuoco, popolano ormai in massa gli Stati Uniti al punto che alcune statistiche prevedono che nel 2050 supereranno i cosiddetti “bianchi non ispanici” come gruppo etnico di maggioranza. Di fatto nei “barrios” delle città americane la soddisfazione per la scelta del cardinale argentino è generale e palpabile. 

Un aspetto, questo, fondamentale per gli Stati Uniti, e colto anche da Obama nel comunicato diramato a fine giornata: “Ci uniamo alla gioia di milioni di ispano-americani in questo giorno storico”, scrive il Presidente che invierà il suo vice, il cattolico Joe Biden, a Roma nei prossimi giorni a capo della delegazione americana presso il nuovo Pontefice. Poi conclude “come primo papa delle Americhe la scelta testimonia la forza e la vitalità di una regione che sta sempre più influenzando il nostro mondo”. Tutti contenti per papa Francesco insomma: non sarà Timothy Dolan o Sean O’Malley ma in fondo è “americano” anche lui.

Nei primi giorni del pontificato, poi, non sono sfuggiti agli occhi degli USA i semi di innovazione contenuti nelle parole e negli atti di papa Francesco, coerenti in verità con la semplicità e la vicinanza al popolo del cardinale che a Buenos Aires prendeva l’autobus e si cucinava la cena da solo. Ma non sfugge nemmeno  il fatto che “non bastano un nome evocativo e una postura umile”, come nota Ross Douthat sul New York Times di domenica.

Una cosa è (per quanto simbolicamente rivoluzionario) chiedere ai fedeli di pregare per lui e chiedere il conto dell’albergo, senza ermellino e con al collo una croce di legno invece che d’oro; un'altra è come, riflette la rivista Time nella storia di copertina, “scardinare una burocrazia basata su privilegi aristocratici e istinti machiavellici”.


Stefano Salimbeni

A cura di Alberto Chiara
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