L'Italia vuole cultura, lo Stato no

Nonostante la crisi, nel 2011 la spesa nel nostro Paese è cresciuta, mentre i fondi pubblici continuano a diminuire. La denuncia nel rapporto annuale di Federculture.

Affrontare l'emergenza educativa

12/06/2012
Una scolaresca in visita a Pompei: il Rapporto Federculture lancia l'emergenza educativa.
Una scolaresca in visita a Pompei: il Rapporto Federculture lancia l'emergenza educativa.

Il Rapporto Federculture lancia anche un drammatico - a nostro avviso - allarme riguardo alla formazione delle nuove generazioni: il nostro sistema formativo sembra perdere capacità di attrazione nei confronti dei giovani. Dall'anno accademico 2003-4 a quello  2009-10 gli iscritti all'Accademia nazionale di arte e di danza sono diminuiti rispettivamente del 7,5 e del 23 per cento. Nell'ultimo anno sono crollate le immatricolazioni nelle università italiane (dal 70 per cento dei diplomati di 10 anni fa al 60 per cento). Nelle classifiche internazionali sui migliori atenei, la prima italiana, Bologna, figura solo al 183° posto. Siamo tra gli ultimi in Europa per spesa nell'istruzione pubblica: investiamo il 4,8 per cento del Pil, contro l'8 della Danimarca, il 6,9 dell'Inghilterra, il 6,2 della Francia... Il 18,8 per cento dei giovani italiani abbandona la scuola prima del diploma. Non si ferma l'esodo intellettuale, i famosi cervelli in fuga...

L'Italia è dunque a un bivio. Sottoscriviamo le affermazioni conclusive di Roberto Grossi:  «Il tema della formazione è cruciale. L’istruzione è una chiave dello sviluppo, anche di quello economico. Serve una rivoluzione culturale a partire dalla diffusione della conoscenza e dei valori della nostra tradizione per superare il naufragio delle idee e delle risorse creative. Ma soprattutto per risalire la china e affermare un modello di sviluppo che faccia stare meglio gli italiani, premi la qualità e il lavoro, ridia l’orgoglio alla nazione rafforzando il senso d’appartenenza dei cittadini. Per sfuggire alla morsa che attanaglia le imprese, deprime l’innovazione e la creatività, ci allontana dall’estetica e dall’etica. Quella morsa dell’incultura e dell’incuria che pone al centro della scena clientele e nepotismi, comitati di affari che riempiono di cemento abusivo i luoghi e i paesaggi più belli, affermando così la dittatura dell’indifferenza e del brutto. Come pensiamo, dunque, di rimanere nel G8 se non puntiamo sui settori più forti della nostra competitività internazionale come appunto cultura, creatività e innovazione? Come possiamo ridare slancio alle imprese e fiducia ai cittadini se non investiamo sulla conoscenza, sulla diffusione dei saperi, sui valori della nostra identità? Serve una strategia e interventi concreti per far crescere un settore che oggi rappresenta il 5 per cento del Pil e in pochi anni potrebbe triplicare il proprio valore. Ciò significherebbe aprire un nuovo orizzonte di crescita al Paese, ridare benessere ai cittadini, migliorare la qualità della vita nelle città, generare nuova ricchezza e occupazione, dare una speranza di futuro ai giovani».

Paolo Perazzolo
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