L'imam Pallavicini: il rischio è la psicosi anti Islam

15/04/2013
Yahya Pallavicini, imam e vicepresidente della Co.re.is. (Fotogramma).
Yahya Pallavicini, imam e vicepresidente della Co.re.is. (Fotogramma).

Yahya Pallavicini è imam e vicepresidente della Co.Re.Is (Comunità religiosa islamica) a Milano. Qualche tempo fa ha avuto occasione di vedere 11 settembre 1683 in anteprima. «Sono stato invitato a un proiezione riservata a Roma, da parte di Raicinema che, prima di distribuirlo, ha avuto lo scrupolo di verificare che i contenuti e l'impostazione del film non offendessero la sensibilità dei credenti in generale, sia musulmani che cristiani, invitando vari osservatori». La Co.re.is. opera attraverso la sede di Milano e dieci sedi periferiche in sette regioni, riunisce i cittadini italiani musulmani ed è particolarmente impegnata nella promozione del dialogo interreligioso e nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla compatibilità tra identità italiana e fede islamica.

Quale giudizio ha formulato dopo la visione del film?
«Ne ho riportato due impressioni apparentemente in conflitto. In primo luogo, lo scrupolo di Raicinema può avere un senso: il film, infatti, potrebbe generare sul grande pubblico - che giustamente non ha competenze sui fatti storici o sulle sensiblilità spirituali di quell'epoca - una serie di ricadute emotive negative, la rinascita di slogan tipo "mamma li turchi" e un'accentuazione di alcune psicosi islamofobe. Purtroppo questo è un pericolo latente dovuto, devo ammetterlo, alla scarsa conoscenza del grande pubblico italiano su certi avvenimenti. In questo senso non possiamo escludere che un certa dose di scarsa preparazione e di emotività possa degenerare in qualche reazione istintiva e nel rafforzamento del pregiudizio nei confronti dei musulmani».

E la seconda impressione?
«Io ho studiato un po' i fatti dell'epoca e i personaggi di quel tempo. E, personalmente, sono molto interessato a una certa integrità degli uomini religiosi. Pertanto, ho trovato che la figura del frate, Marco da Aviano, è emblematica di una persona devota a Dio e rappresenta un modello universale interessante per ogni credente, anche musulmano. Inoltre, ho notato che nel film c'è una ricerca interessante di simmetria tra i saggi, i santi, le persone oneste, i religiosi da entrambe le parti - cristiana e musulmana - e sempre da una parte e dall'altra tra le frivolezze e le stupidità dei cortigiani. In altre parole, si cerca di mettere in evidenza che la corte viennese con l'imperatore viziato e la sorella frivola fanno parte di una decadenza dell'Occidente che aveva perso qualunque riferimento al cristianesimo. Ricordo una scena: quando il frate viene invitato a un ricevimento, lui rifiuta di sedersi alla tavola per una incompatibilità tra il suo voto di povertà e i banchetti della corte. La stessa cosa si trova nel mondo musulmano: anche nel califfato turco, come viene rappresentato, ci sono persone profondamente integre e altre negative. E sono queste ultime che poi hanno scatenato la cruenta battaglia. Vienna per fortuna è stata poi salvaguardata - lo dico da musulmano europeo -, ma quello che gli spettatori dovrebbero cogliere è che i conflitti portano soltanto miseria e il richiamo degli uomini di Dio, da una parte e dall'altra, purtroppo viene rifiutato dai governanti. Ma ho paura che questo messaggio non sarà colto dal pubblico».

Il sottotitolo del film fa un esplicito richiamo alla data fatidica dell'11 settembre....
«Il sottotitolo è molto d'effetto, inquietante: si pensa subito all'11 settembre 2001 e allora si arriva direttamente all'idea che la storia si ripete e che, di conseguenza, ci possa essere nel prossimo futuro un nuovo 11 settembre. Mi sarebbe piaciuto molto di più il titolo che avevano scelto in origine: Marco d'Aviano, il nome del frate. I testimoni della dimensione santa a me piacciono molto e avrei preferito che fosse messa in evidenza questa figura già nel titolo. Invece, si è persa l'occasione per mettere in risalto cosa c'è di buono nel film».

Lei di recente ha incontrato papa Francesco.
«Ho avuto l'onore di vivere i segnali non cinematografici ma reali del progresso del dialogo. Sono stato presente, per la prima volta nella mia vita, alla cerimonia di intronizzazione del papa e sono rimasto molto colpito da questo momento sacrale di investitura di un uomo che deve incarnare il ruolo di vicario di Gesù. Il giorno dopo ho partecipato all'udienza concessa a varie rappresentanze religiose, ho avuto modo di salutarlo, auspicando che il mondo interiore possa ispirare la forza della fede di cristiani e musulmani alla luce delle complesse sfide intellettuali che stiamo vivendo. Devo dire che il Papa mi ha risposto dicendo che è un tema molto importante e che dobbiamo tutti pregare per questo. Papa Bergoglio è un modello di uomo di Dio che interpreta la povertà in forma non demagogica.  E poi, la scelta del nome Francesco: rievoca i rapporti straordinari del santo di Assisi con il mondo islamico. Ho avuto occasione di conoscere anche i due precedenti papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: il rischio delle ripercussioni del film è che si vada in direzione diametralmente opposta rispetto a quella tracciata dagli ultimi tre Pontefici in fatto di dialogo interreligioso».

Giulia Cerqueti

a cura di Paolo Perazzolo
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