11/05/2011
Ha ragione Rino Tommasi, quando dice che la boxe non morirà, finché ci sarà fame, finché fuori dal ring ci sarà un mondo dove si sta peggio che a prender botte. Vale soprattutto per la boxe dei professionisti, dove ci si picchia davvero e dove non ci sono caschetti a proteggerti, dove il colpo vale solo se va a segno con il suo carico di potenza e non, come all’Olimpiade, dove basta un tocco di un certo peso, calcolato dal computer, mentre atterrare l’avversario non né auspicabile né necessario per vincere.
Però è vero che per entrare in palestra a fare a pugni e a prenderne, anche da dilettanti, bisogna avere se non proprio qualche conto in sospeso con la vita, almeno qualcosa da sfogare dentro.
Anche per questo probabilmente non è un caso che Marcianise, 40 mila abitanti, provincia di Caserta, Gomorra tra le pieghe, sia in Italia il giardino d’inverno che coltiva boxeur per mettere alle corde la strada e il suo corredo di malavita.
Lì nella palestra Excelsior brilla un maestro che di cognome fa Brillantino che del ring ha fatto un luogo dove si impara a vivere. Perché l’aggressività, incanalata nelle regole, diventa sport, voglia di vincere pulito. E imparato sul ring, spesso è imparato per sempre.
Da Marcianise sono usciti quattro dei sei azzurri partiti per l’olimpiade di Pechino con guantoni carichi di sogni. Due di loro sono tornati con la medaglie, quella d’oro era di Roberto Cammarelle da Cinisello Balsamo (ma radici campane) e l’altra, d’amaro argento, di Clemente Russo da Marcianise. Sempre Cammarelle stavolta con Domenico Valentino pure lui da Marcianise ha vinto l’oro nel 20 ai Mondiali di Milano.
Accade un po’ perché in Italia se nasci in un posto hai spesso sportivamente la strada segnata da un misto di comodità, assenza d’alternative, tradizione e bravi maestri. Se nasci a Jesi diventi schermidore, se nasci a Sesto San Giovanni marciatore, se nasci a Meda ginnasta, a Marcianise pugile e via così.
Ora il pugilato di Marcianise, che da Pechino e da Milano ha già fatto il giro del mondo guadagnandosi testate del rango del New York Times, arriva al grande pubblico con il film Tatanka, ispirato a un racconto di Roberto Saviano, un film nel quale Clemente Russo sale sul ring a interpretare un ragazzo di Marcianise armato di guantoni, una storia di riscatto.
Tempo fa, proprio Russo, aveva parlato della tentazione dell’America e del professionismo. Ma aveva bocciato Rocky e la sua boxe, inguardabile. È la tara genetica del cinema sportivo interpretato da attori: storie spesso magnifiche ambientate in scene di sport inverosimili se non proprio imbarazzanti. Stavolta no, a proposito di Clemente Russo attore giudicherà lo spettatore, ma la boxe, stavolta è certo, è credibile al 100%.
Elisa Chiari
a cura di Elisa Chiari