06/12/2010
Chef rinomato in tutto il mondo, Gualtiero Marchesi ha fatto della cucina italiana un'arte.
Il primo lo aveva ricevuto nel 1986 dalle mani dell’allora sindaco Carlo Tognoli. “Usavano poche cerimonie, allora, mi hanno dato una medaglia e via ” è il suo commento. Anche per questo, all’Ambrogino d’Oro, arrivato a distanza di quasi venticinque anni, teneva proprio. E forse, lo pensiamo anche noi, sentirà in cuor suo che è arrivato persino un po’ tardi. Lui che tutti chiamano “maestro”, è il fondatore della nuova cucina italiana (il contrattacco nostrano alla nouvelle cuisine che nasceva in Francia in quegli stessi anni). Gualtiero Marchesi, milanese doc, classe 1930, è lo chef italiano più noto del mondo.
Nel 1986 il suo ristorante è stato il primo in Italia a ricevere le tre stelle della guida Michelin. Ma lui, di quella stessa guida, francese e perciò un po’ snob nei confronti della nostra cucina, è stato anche il grande contestatore. Il Marchesi-pensiero, abbastanza condivisibile, è che i nostro ristoranti non devono affidarsi a una guida francese per avere successo.
Quest’anno il Maestro ha festeggiato i suoi ottant’anni di attività con una grande mostra al Castello Sforzesco, che ripercorreva la sua prestigiosa carriera tra i fornelli, iniziata all'Albergo ristorante del Mercato di proprietà dei genitori, e passata per varie esperienze fino ad arrivare all'Albereta di Erbusco (Brescia) e al Marchesino - Teatro alla Scala di Milano, i suoi locali di oggi. Ristoranti dove sono cresciuti molti degli chef stellati che fanno grande oggi la gastronomia italiana nel mondo, da Carlo Cracco ad Andrea Berton, da Paolo Lopriore a Enrico Crippa, solo per citarne alcuni.
“Chi ha visto questa primavera la mia mostra avrà capito cosa intendo dire quando parlo di cucina come arte”, ci dice. Sì, perché Marchesi, amico del pittore e poeta Aldo Calvi e sposato a una musicista, in gioventù ha frequentato le avanguardie artistiche milanesi, frequentato artisti come Lucio Fontana e si è cimentato persino nella musica.
“I piatti devono avere all’interno la stessa armonia e fusione di ingredienti di un’opera musicale. C’è il compositore, ci sono gli esecutori (i miei cuochi). Tutto deve funzionare in perfetto accordo”, spiega. “Bisogna pensare che ogni ricetta è un progetto, capire quali sono le basi e quali i complementi. Il cocktail dei singoli elementi deve essere perfetto”.
- I suoi piatti, per esempio il suo celebre risotto alla milanese con la foglia d’oro, hanno l’essenzialità e la bellezza di quadri astratti…
"L’arte è sempre stata una parte importante della mia vita. Ci si alimenta del buono e del bello".
- Torniamo al suo risotto, può dare un consiglio a milanesi e non che vogliono eseguire questo piatto tradizionale a regola d’arte?
"Il piatto, come dicevo, è un progetto in equilibrio. Nel mio risotto gli elementi principali sono riso e zafferano. Un tocco di vino bianco serve a dare l’acidità Ci sono solo 10 grammi di burro, per dare la cremosità, e anche il formaggio grana è un complemento, non deve essere un elemento determinante del sapore. Ne bastano, anche in questo caso, appena 10 grammi. Nessuna formaggiera in tavola, dunque, questo è il consiglio per tutti gli amanti della buona cucina. Il formaggio lo deve regolare il cuoco in cucina e gli ospiti non dovrebbero mai aggiungere il formaggio a loro piacere. Rovinerebbero solo l’armonia del piatto. Per esempio, nel mio ristorante nella classica formaggiera metto solo del riso soffiato, che aggiunto al risotto regala un tocco croccante interessante”.
- In compenso, i commensali, nel suo ristorante di Erbusco, possono dare una sbirciatina in cucina, dato che avete messo una sorta di sipario che si apre e chiude e che mostra il lavoro dei cuochi.
"Ci sono almeno una decina di cuochi sempre all’opera nella mia cucina. Un autentico laboratorio, che mi piace che i miei clienti possano osservare. Ho sempre ritenuto importante capire cosa sta dietro. Credo che se in televisione facessero vedere il dietro le quinte di imprese e laboratori artigianali realizzerebbero di certo trasmissioni di successo. La gente vuole capire come si fanno le cose e perché un oggetto o un piatto magari hanno un certo prezzo. Non tutto viene fabbricato in serie. Alcune cose nascondono davvero un’anima”.
di Giusi Galimberti