01
apr

Elogio del buon dottore

Sergio Zavoli.
Sergio Zavoli.

Di che si parla quando la medicina diventa oggetto di racconto? Per lo più di sviluppi della malattia che non sono andati nel senso desiderato e di comportamenti di sanitari che si intende censurare. In una parola, si racconta la “malasanità”. Non è sempre stato così. Sergio Zavoli in un suo libro (La lunga vita. Viaggio nella salute) riferisce che anni fa si usava, soprattutto in provincia, affiggere un piccolo manifesto con cui i parenti della persona risanata rivolgevano un pubblico attestato di riconoscenza ai medici e agli infermieri che si erano prodigati intorno al loro familiare.

      Lo scritto si chiamava “ringraziamento” (Zavoli dà colore al racconto riportando l’aneddoto di un famoso chirurgo emiliano che ne aveva collezionati tanti da sentirsi autorizzato a segnalare sui biglietti da visita: “Duecento volte elogiato in pubblici affissi”). I ringraziamenti non erano esclusivamente riservati ai buoni esiti: anche quando le cose andavano male, c’era occasione di lodare l’abnegazione di quanti avevano dato il meglio di sé nella cura.

      Rievocando questi scenari, ci rendiamo conto di quanto è cambiata la cultura del nostro Paese. Sì, può ancora capitare di imbattersi, nella rubrica delle lettere di qualche giornale, in qualche voce positiva. Per lo più espressa con tono di sorpresa: contrariamente alle aspettative, ci si è accorti di avere a che fare, in ospedale o in ambulatorio, con professionisti sanitari competenti e coinvolti con i problemi di salute dei pazienti. Quasi che la “buonasanità” sia ormai da considerare un’eccezione, piuttosto che la regola.

      È ancora possibile invertire la tendenza? Il cambiamento non ce lo aspettiamo dai giornalisti: per il loro mestiere, inseguono le cattive notizie ( o quanto meno quelle che invertono l’ordine delle cose: l’uomo che morde il cane, non viceversa…). Ma come cittadini possiamo moltiplicare i gesti di apprezzamento per le cure che tanti bravi sanitari impartiscono, raccontando anche la “buona medicina”. Ciò migliorerebbe i rapporti: e già questo sarebbe un contributo rilevante alla salute, tanto di chi cura, quanto di chi è curato.

Pubblicato il 01 aprile 2011 - Commenti (0)
24
feb

Le parole per guarire

Ci sono cure fatte esclusivamente di parole. Accettata dapprima con molta diffidenza, la psicoterapia è riuscita col tempo a farsi prendere sul serio nella nostra società: non suona strano che trovare le parole per dire il proprio malessere sia considerato una vera e propria cura.

     Ma il suo ambito è limitato alle patologie riconducibili ai disturbi dell’umore, delle relazioni, dell’ambito mentale. Per quanto riguarda i mali del corpo, la medicina sembra non aver bisogno delle parole. E’ il regno del fare, più che del parlare; gli strumenti di cui si serve la medicina per guarire sono bisturi e farmaci, non la narrazione. Sulle parole sembra cadere il discredito che si merita ciò che non gravita intorno al “fare” (fatti e non parole: è uno slogan semplicistico molto in voga ai nostri tempi).            

     E’ arrivato il momento di rimettere in discussione questo schema. Le parole sono importanti in medicina; ancor più, la narrazione è uno strumento di guarigione. Come valvola di sfogo per il dolore, anzitutto. Come esorta Shakespeare nel Macbeth: “Date la parola al dolore... Il dolore che non parla sussurra al cuore oppresso e gli ordina di spezzarsi”.

    Ma non solo: la narrazione della malattia e dei percorsi di cura è essenziale per trovare un senso a ciò che si sta vivendo. Sia come professionisti della cura che come persone curate. Ne fa fede l’esplosione di narrazioni che gravitano intorno alla malattia: invadono gli scaffali delle librerie, ma soprattutto il web. Scrivono i professionisti (qualche sito: nottidiguardia, camiciazzurri, infermierincontatto), scrivono i malati (lastranamalattia, pazientemanontroppo, lemalattierare...); si scambiano informazioni e storie di associazioni.

     Il sito più esplicito – ucare – osa proporre “storie che curano”. Ben vengano, dunque, macchinari sofisticati e pillole sempre più potenti per far fronte ai mali che ci affliggono: ma porte aperte anche alle parole. Non si tratta di sostituire le aspirine con le parole; in medicina c’è posto per i farmaci, ma anche per la narrazione.

Pubblicato il 24 febbraio 2011 - Commenti (2)

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Autore del blog

La medicina si racconta

Sandro Spinsanti

Esperto di medicina e Scienze umane. Ha insegnato bioetica in facoltà di medicina. E’ stato direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (CISF). Direttore dell’Istituto Giano, propone attività nella formazione etica dei professionisti sanitari.

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