Giovani: non solo rassegnati e passivi

I sociologi descrivono i giovani di oggi come "rassegnati", ma non tutti si bloccano sul pessimismo. Altri osano e regalano scossoni alla società.

Gli “osservati speciali”

19/03/2012

Sembra questa una condizione endemica del tempo presente, che fa sì che i giovani siano da alcuni anni degli “osservati speciali”, situati stabilmente sul lettino diagnostico delle malattie pubbliche; per cui si riversano su di essi le preoccupazioni di tutta la società, che non accetta l’idea che le nuove generazioni vivano a rimorchio delle precedenti e non rappresentino una risorsa di rinnovamento. Si tratta di problemi al centro dei lavori di molti studiosi dei fenomeni sociali, che vedono nell’attuale disagio dei giovani uno dei più laceranti malesseri della nostra epoca. Uno di essi, il demografo Livi Bacci (nel volume Avanti giovani, alla riscossa, Il Mulino), ha offerto un quadro impressionante del ritardo e della passività generazionale dei nostri giovani rispetto ai loro coetanei del passato. Cent’anni fa, oltre un terzo della popolazione economicamente attiva aveva meno di 30 anni, mentre oggi si trova in questa condizione solo un giovane su otto. Allora, era consistente la quota di giovani (sotto i trent’anni) già inseriti nelle diverse categorie professionali, che ammontavano al 10% dei medici, al 19% degli ingegneri, al 21% degli avvocati, al 22% del clero. Oggi in queste professioni l’insieme dei soggetti con meno di 30 anni oscilla tra il 3 e il 9%. La sindrome del ritardo è poi evidente in una generazione che sposta negli anni le scelte di vita fondamentali: negli ultimi tre decenni, per esempio, l’età del primo matrimonio si è spostata dai 24 ai 29 anni.

In sintesi, protagonisti pallidi della società contemporanea, i giovani d’oggi sembrano aver perso il ruolo di rilievo che avevano nel passato, hanno ceduto spazio e contano di meno di un tempo in tutti i settori sociali, eccetto che nel divertimento e nel consumo. Per la verità, il bilancio non è tutto deficitario, in quanto gli attuali ventenni godono di una dote di salute e di benessere, di formazione, di possibilità di scelta in vari campi, assai più ricca di quella a disposizione dei coetanei del passato. In ogni decennio successivo al 1950, per esempio, i giovani hanno guadagnato un centimetro e mezzo di statura, aggiunto due anni alla speranza di vita, trascorso un anno e un semestre in più sui banchi di scuola. Dunque, con il passare degli anni, sono più alti, più sani, più istruiti e forse più belli. In sintesi i nostri giovani sopportano un fardello di infelicità più leggero di quello che opprimeva i loro coetanei alcuni decenni or sono; ma la liberazione da una serie di costrizioni e condizionamenti fisici e culturali non ha permesso loro di contare di più nelle dinamiche sociali e pubbliche. Di qui l’allarme per una situazione che penalizza la crescita del Paese, che evidenzia una perdita netta in creatività umana e scientifica, frutto di un ricambio generazionale mancato.

Franco Garelli
Roberta Ricucci

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