13/07/2012
Purtroppo, va sottolineato il ruolo
negativo assunto dai media nei confronti
della malattia mentale. I contenuti
proposti, sia nell’ambito del trattenimento
sia dell’informazione, sono
molto spesso in risonanza con i
pregiudizi e gli stereotipi maggiormente
diffusi. Ritratti sensazionalistici
e molto imprecisi di persone con
patologie mentali infarciscono ogni
giorno la carta stampata, in particolare
quella “popolare”; le notizie di cronaca
tendono a creare un legame
stretto tra disagio psichico e violenza,
rinforzando e amplificando immagini
negative e distorte della realtà.
La prolungata esposizione ad atteggiamenti
discriminatori da parte della
società, porta, nel soggetto interessato,
a un’interiorizzazione dello stigma.
Ne consegue una bassa autostima
e un progressivo ritiro dalle attività sociali.
L’affetto esperito maggiormente
è la vergogna, che si traduce, in genere,
nella tendenza a nascondere la
propria condizione patologica, limitando,
tra l’altro, la possibilità di richiedere
e, quindi, di ricevere aiuto e
supporto da parte degli altri. Il ruolo
degli operatori della salute mentale
deve essere esplicitamente volto a contrastare
lo stigma e le sue conseguenze
negative. Il target dell’intervento è
triplice: il paziente, i suoi familiari,
l’operatore stesso.
A - Il paziente. È necessario instaurare
con il paziente un rapporto
“adulto-adulto”, esente da paternalismi
e basato sulla sincerità. Il paziente
ha il diritto di essere informato esaustivamente
della propria patologia e
delle implicazioni che ne conseguono.
Il paziente, inoltre, deve essere
soggetto attivo in tutte le scelte terapeutico-
riabilitative che lo riguardano.
Nell’elaborazione di un progetto
terapeutico deve essere salvaguardata
il più possibile l’autonomia della persona,
non considerando come unico
obiettivo la stabilizzazione clinica.
Un compito molto delicato è quello
di contrastare gli affetti negativi indotti
dallo stigma sociale nell’assistito.
Per esempio, molti pazienti tendono
a interiorizzare pensieri negativi e
pessimistici a riguardo di sé stessi
(“Sono malato! Non combinerò mai
niente nella mia vita”) e riguardo al
mondo che li circonda (“Nessuno mi
accetta! Tutti mi tengono a distanza”).
In tal caso i pazienti possono essere
istruiti a ricercare evidenze che
mettano in dubbio i costrutti stigmatizzanti
stereotipati, proponendo modelli
di pensiero maggiormente oggettivi
e ottimistici (“Persone con disabilità
peggiori si sono realizzate”).
Un altro problema, tipico da affrontare,
è la vergogna, che il più delle volte
si traduce in una totale reticenza
del soggetto a comunicare agli altri la
propria condizione di disagio mentale.
Al contrario, un numero minore
di pazienti decide di affrontare tale
problematica con un coming out indiscriminato.
Compito dell’operatore è
quello di mostrare al proprio assistito
una terza strada, aiutandolo a selezionare
le persone maggiormente empatiche
e supportive, con cui confidarsi.
Da un punto di vista più concreto, sarà
indispensabile avere una conoscenza
precisa delle risorse cliniche e sociali
presenti sul territorio e, di conseguenza,
incoraggiare il paziente a servirsene
in maniera efficace.
B - I familiari. Si rivela di importanza
fondamentale informare compiutamente
riguardo la natura, l’andamento
e la prognosi della patologia da cui
è affetto il paziente. Educare a riconoscere
i sintomi premonitori di una crisi
acuta. Insegnare a gestire i sintomi
di cui soffre l’assistito. Promuovere
l’utilizzo delle risorse sociali offerte
dal territorio (con particolare riferimenti
ai gruppi di auto-aiuto e di supporto).
Fornire un adeguato sostegno
per intercettare i risvolti psicologici
indotti dall’onere di assistenza (affetti
depressivi, di perdita, problematiche
relazionali intrafamiliari).
C - L’operatore. Occorre, infine,
prendere in esame i nostri stessi atteggiamenti
e comportamenti.
Flaminia Alimonti, Luigi Guerriero, Luigi Janiri