13/07/2012
L’elevato grado di disabilità si riflette e pesa sul
paziente, sui suoi familiari e sulla collettività. Le persone
coinvolte, sia i soggetti affetti sia i familiari, sono
spesso impreparati alla gestione effettiva della
malattia. Alcuni studi testimoniano come gli oneri
collegati ai disturbi mentali siano maggiori rispetto
a quelli determinati da malattie fisiche come il diabete
e le patologie cardiache, renali e
polmonari. Il sostegno sociale, così come
l’intervento fornito dagli specialisti,
risulta drasticamente ridotto rispetto
alle condizioni dettate da problematiche
di natura organica (il fenomeno
è meglio noto con l’espressione
sintetica: family burden).
Le persone affette da disagio psichico,
come anche i propri familiari, sono
soggetti ad atteggiamenti particolari
adottati dalla comunità. Spesso si
assiste a reazioni di allontanamento,
probabilmente dettate dalla percezione
di minaccia. Uno dei pregiudizi
più comuni è quello della pericolosità
sociale: l’individuo malato di mente
è temuto dalla collettività in quanto
può mettere in atto comportamenti
auto ed eteroaggressivi. Spesso si assiste
a una vera e propria esclusione
sociale in cui il soggetto malato viene
stigmatizzato, cioè porta con sé un
marchio di discredito e di vergogna.
Lo stigma è un fenomeno che coinvolge
anche le famiglie e tutte le figure
di riferimento che si occupano dell’individuo
stesso. C’è una ridotta accettazione
del disturbo mentale da parte
della società rispetto ai disturbi fisici.
Ciò comporta per il paziente, che già
sperimenta la sofferenza legata alla
malattia, ulteriori disagi, quali, per
esempio, la riduzione della qualità
della vita e le opportunità lavorative e
abitative piuttosto limitate, associate a
una più bassa autostima.
Le modifiche legislative avvenute
negli ultimi quarant’anni testimoniano
la lenta, ma continua, modifica
del “pensiero collettivo” che abbandona,
seppur a fatica, la concezione, probabilmente
dettata dal timore, di tenere
lontano e isolato il malato di
mente dalla società a favore di un processo
di integrazione all’interno della
collettività. È con queste riforme che
è stata sancita la necessità che il luogo
di cura non debba essere un ambiente
chiuso bensì il territorio stesso.
Flaminia Alimonti, Luigi Guerriero, Luigi Janiri