20/10/2011
La competenza emotiva è definita come la capacità di
comprendere le proprie e le altrui emozioni e di saperle
regolare al meglio al fine di instaurare efficaci interazioni
sociali (Saarni, 1999). In particolare, a sottolineare la
valenza pragmatica e la spendibilità di questa competenza
nella vita quotidiana, gli studiosi di riferimento ne individuano
alcune componenti che si sviluppano nel corso
del tempo. Che cosa significa, dunque, essere “emotivamente
competenti”? Con questa espressione si rimanda
ad abilità come, per esempio, essere consapevoli del
proprio stato emotivo oltre che saper riconoscere e comprendere
le emozioni altrui.
Vi è poi la capacità di esprimere le proprie emozioni
imparando a dare loro un nome, ovvero possedere e saper
usare un vocabolario degli stati interni emotivi. Altre
abilità che concorrono a costituire la competenza
emotiva sono la spinta empatica nei confronti delle esperienze
emotive degli altri, il capire che ciò che si prova
internamente non necessariamente corrisponde a ciò
che si esprime (ovvero che a seconda della situazione e
dell’interlocutore si può decidere di mostrare di più o
di meno di quello che realmente si prova) e la capacità
di far fronte a situazioni emotive a valenza fortemente
negativa, cioè saper mettere
in pratica strategie di
autoregolazione degli stati
emotivi soprattutto quando
essi sono appunto molto
dolorosi e intensi. Ancora,
nel costrutto teorico di
competenza emotiva rientrano
la capacità di essere
consapevoli che il modo
di comunicare le emozioni,
e quindi di condividerle,
condiziona e definisce
la natura della relazione
con l’altro e, infine, l’autoefficacia
emotiva, cioè il
saper accettare le proprie
emozioni, accoglierle, sentire
di averne il controllo.
Tutte queste abilità vengono
accorpate in tre macrocategorie:
espressione,
comprensione e regolazione
(Denham, 1998).
L’espressione delle
emozioni avviene attraverso
diversi canali di comunicazione,
di tipo non verbale
e verbale. Possiamo
quindi esprimere le emozioni
che proviamo (siano
esse a valenza positiva,
negativa o mista e più o
meno intense) attraverso
il volto, la postura, i gesti
e i movimenti del corpo,
il contatto corporeo, il tono
della voce, persino
l’abbigliamento che scegliamo
di indossare. Oltre
a questi canali non verbali,
esprimiamo le emozioni
attraverso la parola, utilizzando
cioè quello che
viene definito lessico psicologico
emotivo-affettivo.
Il bambino, già a partire
dai due anni, inizia a
utilizzare espressioni come
“Ho paura”, “Sono arrabbiato”,
“Sono contento”,
“Ti voglio bene”, con
i quali verbalizza e comunica
le proprie emozioni
e sentimenti (Bretherton,
Beegley, 1982).
Numerosi studi hanno
messo in luce come il fatto
di esprimere attraverso
il linguaggio ciò che si
prova aiuti i bambini a saper
riconoscere e comprendere
sempre meglio
gli stati interni emotivi
propri e altrui, specialmente
se questo avviene
in contesti di interazione
e scambio conversazionale
con adulti significativi o
con i pari (Hughes, Lecce,
Wilson, 2007; Tenenbaum,
Alfieri, Brooks,
Dunne, 2008). Il fatto,
per esempio, che i genitori,
in particolare le madri,
nel rivolgersi ai bambini,
utilizzino frequentemente
un lessico psicologico è
risultato essere un predittore
della successiva capacità
dei piccoli di mentalizzare
e comprendere il proprio
e altrui mondo interno
(Denham, Kochanoff,
2002). Questo dato si rivela
esser cruciale sul piano
educativo, in quanto gli
adulti, siano essi genitori,
educatori o insegnanti,
possono utilizzare più consapevolmente
questo tipo
di linguaggio con i bambini
stimolandoli a fare altrettanto.
In una recente
ricerca-intervento, descritta
qui di seguito, è stato dimostrato,
infatti, che educare
i bambini di età prescolare
a usare il vocabolario
delle emozioni li facilita
lo sviluppo della comprensione
emotiva (Grazzani,
Ornaghi, 2011).
Definita anche come
“teoria della mente emotiva”
(Saarni, Harris, 1989),
la comprensione delle
emozioni è il secondo importante
aspetto del costrutto
di competenza
emotiva, che si sviluppa a
partire dalla prima infanzia.
Essa riguarda la comprensione
della natura
delle emozioni, delle cause
che le elicitano e del fatto
che possono essere regolate
o controllate mediante
diverse strategie.
Per quanto riguarda le
cause, per esempio, il
bambino dapprima è in
grado di comprendere
che le emozioni possono
essere provocate da cause
di tipo esterno (come il
gioco preferito che si rompe
o ricevere un pacco regalo)
e, successivamente,
a partire dai 6 anni circa,
che le emozioni possono
essere causate anche da
fattori interni, come i pensieri,
le credenze, i ricordi,
i valori morali (Pons,
Harris, de Rosnay, 2004).
La terza macro-categoria
che racchiude alcune
delle abilità della competenza
emotiva sopra citate
è la regolazione delle
emozioni. Si tratta di
un’attività psichica complessa
e articolata, che costituisce
un prerequisito
per il buon funzionamento
sociale. In letteratura,essa viene definita come
l’insieme dei processi
estrinseci e intrinseci coinvolti
nella valutazione,
nel monitoraggio e nella
modifica delle reazioni
emotive. Quotidianamente,
le persone mettono in
atto diverse strategie di regolazione
emotiva di tipo
cognitivo o comportamentale
(Parkinson, Totterdell,
1999). Fra le strategie
cognitive troviamo,
per esempio, la capacità
di distogliere l’attenzione
da stimoli che provocano
emozioni intense a valenza
negativa, oppure, al
contrario, di concentrarsi
su aspetti specifici di una
situazione mettendo in atto
quella che viene definita
“ruminazione mentale”.
Fra quelle comportamentali,
che quindi mettono
in gioco la persona
sul piano dell’agito, vi sono,
per esempio, fare esercizio
fisico, esercitare pratiche
di rilassamento, allontanarsi
fisicamente dalla
situazione elicitante,
parlare con qualcuno. Alcuni
scelgono, quindi, di
adottare strategie regolative
di “evitamento” della situazione,
altri di “coinvolgimento”.
La precoce predisposizione
del bambino alla comunicazione
diadica viene
incentivata dalla regolazione
emotiva reciproca
fra caregiver e bambino
che, sebbene inizialmente
sia per lo più guidata
dall’adulto, favorisce il
passaggio dalla mutua regolazione
all’autoregolazione.
Il bambino, già nei
primi mesi di vita, mostra
delle condotte di regolazione
come la suzione del
pollice per calmarsi e la ricerca
dell’adulto quando
è spaventato; durante
l’età prescolare mostra di
saper usare strategie di regolazione
emotiva che
vanno dal controllo verbale
al gioco di finzione, per
poi giungere in età scolare
a padroneggiare strategie
di mentalizzazione
emotiva (riflettere sulle
esperienze emotive e verbalizzarle)
e di distanziamento
cognitivo (pensare
ad altro) sempre più sofisticate.
Veronica Ornaghi