Dossier - Imprese di padre in figlio

Difficile il passaggio generazionale. Ci vuole equilibrio per farle funzionare e se il leader è giovane sono più produttive.

Il giusto equilibrio tra affari e affetti

18/04/2011

«Occorrono intelligenza emotiva, definizionedei ruoli, consapevolezzadella convenienza e delle opportunitàdel lavorare insieme e anche volontà». È chiara la ricetta per una buona continuitànell’impresa familiare secondo Luis Iurcovich, economista e sociologo, autore di Le convivenze possibili in famiglia e nelle imprese di famiglia (Franco Angeli), scritto a quattro mani insieme con il figlio Ezequiel con cui gestisce Trasversale, una società di consulenza di economia applicata con particolare attenzioneal "passaggio generazionale".

«Coinvolgere i figli perché sono una risorsao semplicemente per garantire un posto di lavoro non è sufficiente se non hanno maturato la volontà di lavorare insieme. Nella nostra lunga esperienza abbiamo notato che la fine del ciclo di vita di un’impresa familiare è spesso determinata dal fallimento delle relazioni all’interno della famiglia stessa».

– Ma quali sono gli ingredienti positivi che facilitano i rapporti?
«Bisogna distinguere tra i nuclei “rigidi” e quelli flessibili. Nei primi la cooptazione degli eredi avviene senza considerarne le aspettative. L’erede è una necessità, non un’opportunità, come viene invece considerato nelle famiglie di secondo tipo in cui il coinvolgimento dei giovani avviene su base volontariae in funzione delle diverse competenze. Se c’è una conflittualità non viene ignorata, ma riconosciuta e affrontata».

– A volte non diventa impossibile gestire con razionalità rapporti in cui hanno un forte ruolo i condizionamenti emotivi e affettivi?
«Si parla, infatti, di una razionalità limitata perché subentrano variabili emotive, storiche, culturali, politiche e sociali, ma occorre sottolineare il ruolo femminile: madri e mogli, che in molti casi non lavorano nell’impresa, ma hanno un forte ruolo come mediatrici, collanti e scioglitrici di nodi e tensioni, perché magari invitano il marito a mutare determinati atteggiamenti e poi spiegano al figlio altre situazioni...».

– È necessario che i padri siano disposti a cedere qualcosa del proprio ruolo?
«La continuità di un’impresa di famiglia èla sommatoria del trasferimento di conoscenza, volontà di cedere, desiderio di condivideree una certa propensione a fare damentore ai propri figli». Ed è a questo punto che il figlio Ezequiel Iurcovich interviene: «Non si tratta di favorireun passaggio dai vecchi ai giovani, ma di costruire un rapporto "cogenerazionale" in cui tutti, genitori, figli, fratelli, anche nonni e nipoti, possono lavorare insieme con un interscambio continuo, che trova il suo equilibrio tra la produzione di talento dei giovani e la conoscenza ed esperienza degli adulti.

                                                                                              Renata Maderna

A cura di Orsola Vetri
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