01/04/2011
La dimostrazione che a Mazar-i-Sharif è sfociata in una strage.
I talebani. Alle prime notizie dell'ennesima strage, quella in cui sono state uccise più di 20 persone nell'assalto alla sede Unama (la missione Onu di assistenza all'Afghanistan) della città di Mazar-i-Sharif, si è fatto molto in fretta a tirare le conclusioni. Ma basta una minima conoscenza della realtà sul campo per respingere l'idea che il massacro sia stato generato da una sorta di furia popolare per il rogo del Corano avvenuto in Florida, 11 giorni prima, a opera del famoso pastore Terry Jones e del suo collega Wayne Sapp.
E basta poco anche per rendersi conto che anche l'estremismo islamico potrebbe aver poco a che fare con questo allucinante episodio. Troppo ben organizzata la spedizione contro i funzionari Onu disarmati, portata a segno con precisione e grazie ad armi nascoste in anticipo. Troppo clamorosa la scenografia, con i cadaveri decapitati nel più puro stile Al Qaeda, per non far pensare a una cruenta ma clamorosa messa in scena, realizzata per ottenere ciò che da dieci anni sta a cuore a guerriglieri, terroristi e trafficanti: allontanare gli stranieri e interrompere il faticoso, anzi travagliato processo di costruzione di uno Stato afghano e di un potere centrale competente ed efficiente.
Mazar-i-Sharif è il capoluogo di una regione abitata in prevalenza da tagiki (un'etnia poco abituata al fanatismo islamico) e da hazara, una minoranza sciita che ha storicamente subito, più che esercitato, prevaricazioni e repressioni violente. Mazar-i-Sharif, per contro, è la vera porta Nord dell'Afghanistan, perfettamente piazzata al crocevia delle strade che portano in Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, verso l'Asia Centrale e la Russia. Al crocevia, dunque, anche delle piste della droga e del narcotraffico, il vero motore dell'opposizione armata alla missione occidentale Isaf come al Governo guidato del presidente Karzai.
Fulvio Scaglione