Cuba, le voci del dissenso

Cresce la protesta, dentro e fuori l'isola.

Lo sport è lontano dall'Avana

15/04/2010
Magdeline Martinez durante una gara.
Magdeline Martinez durante una gara.

Cuba è lontana di là dall’Oceano. E il mondo nella quotidianità entra poco. La vita degli atleti cubani in Italia è uguale a quella degli altri atleti: campo  di allenamento, gare, trasferta. Routine: famiglia, lavoro, spesa: la vita compressa di tutti, forse di più perché di mezzo ci sono le trasferte, in cui spesso vedi solo palazzetti dello sport, campi e aeroporti. Gli impegni di ogni giorno assorbono. Si pensa al tempo che non si fa, al salto che non viene, alla partita successiva. Alla famiglia si telefona, e un’intercontinentale costa, per dirsi come si sta, per parlare di sé. Non c’è tempo per chiedere di Raùl, la politica qui e là è un calore di fiamma lontana, soprattutto  per chi non ha avuto grandi traumi nell’andarsene da Cuba.

     Magdeline Martinez, in Italia dal 2000 e Libania Grenot, quattrocentista, da tre anni qui, hanno avuto subito documenti regolari, sono diventate italiane sposando italiani, senza prima fuggire, vanno e vengono da Cuba quando vogliono. Non hanno vissuto il trauma della dissidenza in modo diretto.  Al telefono Magdeline Martinez è sincera: “Leggo pochissimo i giornali. La Tv non la guardo più da un pezzo, sono così noiosi i programmi che fa. Non so nulla. Che succede a Cuba?” . Le parliamo di Raùl, dei barbieri che potranno affittare il loro negozio e gestirlo in proprio come in un mercato economicamente libero. “Se è così, è una bella cosa positiva, significa che anche Cuba sta ragionando di un’apertura, è un passo avanti che si fa”.

     Magdeline non era nata nel 1968 quando Castro mise sotto il controllo dello Stato anche le piccole imprese, non ha ricordi precisi diretti di com’era prima e quelli indiretti sono sfocati: “Eravamo bambini, sentivamo a volte i grandi parlarne tra loro, ma non troppo. Non ci coinvolgevano nelle loro preoccupazioni, ci lasciavano crescere sereni con i pensieri dei bambini. Per noi che ci siamo cresciuti dentro Cuba era normale così, era l’unica realtà che conoscevamo. Ho cominciato che ero piccola la scuola dello sport e alla fine ho ritrovato in Italia molti degli amici di allora: quelli della pallavolo , del judo, dell’atletica, anche perché stavamo tutti nella stessa scuola, ci si conosceva tutti. Ma non è che, quando ci si incontra, si parli sempre della realtà di Cuba”.

     Libania  Grenot cade proprio dalle nuvole: “Sono al campo di allenamento, ho pochi minuti”. Le raccontiamo dei negozi di parrucchiere: “Ma davvero? Lo dico subito a mia madre che è qui in Italia in questi giorni. Mi sembra che un piccolo cambiamento sia positivo”. Piccolo o grande?: ” Grande nel senso che mi sembra importante, ma vorrei che fosse un cambiamento piccolo in principio, graduale. Una svolta improvvisa, troppo ampia, mi spaventa:  temo che i poveri diventerebbero ancora più poveri. Come la vivano a Cuba non saprei dire, non ho avuto contatti.  Quando parlo con i miei mica parliamo di politica e i miei amici cubani in Italia sono qui come me perché hanno i documenti in regola e si sono sposati qui oppure con una carta di invito o di lavoro: non è che si parli sempre di Cuba”.

     Sarebbe bello sapere che cosa ne pensa Tai Aguero, lei che non troppi giorni fa ci disse: “La mia storia ha avuto senso se è servita a far capire al mondo la realtà di Cuba che non cambia”.  Parlava della sua odissea, di quando durante i Giochi di Pechino ormai in Nazionale italiana, lottò per il visto: chiedeva di  rientrare a Cuba per riabbracciare la mamma in fin di vita. Il visto arrivò, dietro le pressioni internazionali, soltanto quando ormai era troppo tardi.  Per lei Cuba è una frontiera chiusa, ma nel cuore non è lontana come chi ci può tornare.
                 
                                                                                                                          Elisa Chiari

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