Diritti di nome, ma non di fatto

Tutti gli esseri umani dovrebbero essere uguali: lo dice la Dichiarazione universale. Eppure la realtà mostra che le ingiustizie e le disugualianze sono ancora molto diffuse.

Il primo diritto: emigrare

13/09/2011
L'arrivo a Bari, cinquanta anni fa, della nave Vlora carica di 20.000 profughi albanesi fuggiti dopo la caduta del regime di Enver Hoxa e alla ricerca di un futuro migliore.
L'arrivo a Bari, cinquanta anni fa, della nave Vlora carica di 20.000 profughi albanesi fuggiti dopo la caduta del regime di Enver Hoxa e alla ricerca di un futuro migliore.

   Chissà se alla globalizzazione economica seguirà mai quella dei diritti. Uno sguardo obiettivo sulla situazione internazionale porta all'amara conclusione che le merci contano più degli uomini. Una bestemmia, per chiunque creda nella giustizia e nella diginità di ogni essere umano. Le prove, purtroppo, abbondano. Possiamo partire dai diritti elementari: quello a nascere, crescere, nutrirsi, avere una formazione e un lavoro, avere una casa, poter formare una propria famiglia... Quale percentuale dell'umanità gode di questi diritti?   

   Non sono ovviamente questioni che si possano risolvere in pochi giorni, ma a far difetto sono anzitutto la volontà e la sensibilità. Lo dimostra in maniera equivocabile il comportamento dell'Occidente rispetto al tema dell'immigrazione. Dovrebbe essere chiaro a tutti che  nessuno ha scelto se e dove nascere, eppure il luogo in cui siamo venuti alla luce determina il nostro destino. Non abbiamo meriti se siamo nati in una società ricca, che ci ha permesso di crescere, avere un'istruzione, trovare un lavoro... Né può essere una colpa l'essere venuti alla luce in un angolo di mondo povero, dove è un miracolo scampare alla morte e diventare adulti.   

   Il primo passo che un mondo civile dovrebbe compiere dovrebbe essere quello di non rifiutare l'immigrato che, lasciando la fame, la guerra, la miseria, l'oppressione, mette la sua vita su un barcone, cercando una possibilità diversa. Ciascuno è in grado di valutare se le politiche dell'immigrazione del mondo ricco siano improntate all'accoglienza o al rifiuto. Persino nella civile Europa, e persino in Paesi tradizionalmente più ospitali, soffia un vento di chiusura, di egoismo, alimentato ad arte con la paura. Sulla carta, come si sottolinea nella pagina precedente, siamo tutti uguali, abbiamo lo stesso diritto a cercare la felicità. Ma nella realtà?

   Occorrerà ricordare qualche dato, attingenzo a rapporti delle Nazioni Unite. I tre multimiliardari più ricchi del mondo possiedono patrimoni superiori della somma aritmetica del Prodotto nazionale lordo di tutti i Paesi a sviluppo minimo e dei loro 600 milioni di abitanti. I cinque uomini più ricchi del mondo possiedono beni che superano il Prodotto interno lordo di tutta l’Africa Subsahariana. Il divario fra il reddito del quinto più ricco e del quinto più povero della popolazione mondiale dal ’60 al ’97 è passato da un rapporto di 30 a 1 a 74 a 1, più del doppio. Ottantacinque Paesi hanno un reddito pro-capite inferiore a 10 anni fa. Il 20% della popolazione mondiale che vive nelle nazioni a più alto reddito controlla l’86% del Prodotto interno lordo mondiale. Il 32% della popolazione mondiale e il 42% della popolazione africana sopravvive con meno di un dollaro al giorno. Attualmente 800 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza. Ogni anno sette milioni di bambini muoiono di fame e la cifra va aumentando vertiginosamente...

   Forse è arrivato il momento di capire che il primo diritto è quello a emigrare, vale a dire, a cercare un futuro diverso e migliore.

Paolo Perazzolo

Questo articolo chiude il dossier sulla Giornata mondiale dell'interdipendenza. Le altre tre puntate sono state pubblicate il 10 (Il destino comune dell'umanità), l'11 (Crescita, idolo del nostro tempo) e il 12 settembre (Il pianeta ha la febbre).

(a cura di Paolo Perazzolo)
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