22/05/2010
Mourinho esulta con la Coppa insieme con tutta la squadra.
Non è stata la vera finale di Champions League, quella che l’Inter ha vinto sul Bayern a Madrid dove adesso dovrebbe finire Mourinho. Ma non è neppure vero che la finale è stata la sfida, in due partite, che L’Inter ha vinto sul Barcellona. La vera finale è stata quella contro il Chelsea, domato a Milano ed a Londra. Adesso quelle due partite prendono un valore assoluto, sono da musealizzare. Barcellona e Bayern invece hanno giocato a calcetto, in orizzontale, stregate dalla gabbia di Mourinho. Leggermente più incisivi i tedeschi che non avevano davanti un Messi a legittimare aspettative di miracoli individuali.
L’Inter si è adeguata al calcio povero delle due rivali illustri, è stata grande anche nel sapersi rimpicciolire, senza fare la spavalda, senza rischiare. Grossa Inter, solida Inter, Inter spessa, tutta sostanza a Milito. Squadra con un potenziale di fuoco che aspettava ormai da qualche anno soltanto l’artificiere: ed è stato Mourinho, al quale adesso verrà chiesto di svelare il segreto del suo gioco di squadra, mentre il suo segreto vero è stata la cura del gioco degli uomini, uno per uno al massimo di se stesso e al momento giusto, uno per uno costretto, sì costretto, a fare quello che gli riesce meglio e che magari, con un altro allenatore, non avrebbe saputo o voluto cercare, per perdersi in fumosità, per cercare ribalte ribalde.
Adesso si cerca di sistemare questa Inter nella storia, nel Guinnes dei primati (campionato, coppa nazionale, coppa europea). Giusto privilegiare ufficialmente il complesso, si capisce, giusto e didascalico e didattico. Ma questa Inter è un mosaico di individualità sfruttate bene più che una assemblaggio di normalità esaltate dalla tattica. Da questo punto di vista sarà difficile imitarla, non basterà neppure spendere gli stessi soldi di Moratti junior, e un Mourinho nasce soltanto ogni duemila anni e magari si esprime al massimo una volta sola.
Gian Paolo Ormezzano