Roma 1960, la corsa infinita di Livio

Il 3 settembre di mezzo secolo fa Berruti vinceva i 200 metri. Piccolo viaggio in parole e video dentro un'avventura che non ha finito di spremere passione e ricordi.

Piccolo dizionario di mitologia olimpica

03/09/2010
L'esultanza di Domenico Fioravanti a Sydney 2000
L'esultanza di Domenico Fioravanti a Sydney 2000

    Le Olimpiadi, tutte, hanno questo di speciale: campioni del mondo si resta fino al campionato successivo, campioni olimpici invece si è per sempre. Basta avere l'accortezza di giustapporre al titolo la data. Vale per tutti, è vero, però alcuni più di altri hanno la ventura di rimanere intrappolati nel mito come nell'ambra. 

    Capita a quelli che sono stati pionieri, a quelli che hanno regalato alla storia un'immagine troppo felice o troppo drammatica: sono quelli che non puoi dimenticare neanche se vuoi. 

    Dorando Pietri, Londra 1908. Uno che non vinse niente, ma commosse il mondo crollando a quattro passi dal traguardo della maratona. Era entrato primo nello stadio, ma la fatica stava vincendo al posto suo. Qualcuno gridò aiutatelo. Lo fecero, accorsero, lo sostennero. Arrivò primo, ma fu squalificato perché sorretto. La medaglia d'oro, una copia, la ebbe soltanto come omaggio. Dalla regina. A Londra era arrivato viaggiando in terza classe. 

    Edoardo Mangiarotti, Berlino 1936 -Roma 1960: 6 ori, 5 argenti, 2 bronzi. Spicca nell'infinita teoria degli schermdori azzurri. Di tutto lo sport delle armi bianche, che ha dato alla storia olimpica italiana come nessun altro, Edoardo Mangiarotti è stato il rappresentante più prolifico e longevo. Nessuno, in nessuno sport, ha raccolto quanto lui. Dovrebbe bastare a non scontentare nessuno, anche se in punta di fioretto e a fil di spada, davvero tanti starebbero bene in questa rassegna. Sei ori aveva già vinto prima di lui tra Stoccolma e Anversa, Nedo Nadi. Ad Anversa nel 1920, quando re Alberto del Belgio si accostò per consegnare la medaglia, vedendolo per la terza volta pensò a uno sbaglio. Nadi non si scompose: «Nessun errore, Maestà. E col vostro permesso tornerò ancora». 

    Livio Berruti, Roma 1960. Il perché è tutto in queste pagine e in quella foto.

Franco Menichelli, Tokyo 1964. Aveva rubato il mestiere ai figli degli acrobati che l'estate portarono il circo Bolsena. L'allenamento fece il resto. A Tokyo vinse l'oro
al corpo libero, l'argento agli anelli, il bronzo alle parallele. Capì di essere diventato famoso quando gli si avvicinò per complimentarsi il giornalista Vittorio Pozzo, ex Ct dell'Italia del calcio. Davvero altri tempi. 

    Klaus Dibiasi e Giorgio Cagnotto, Monaco 1972-Mosca 1980. In coppia, anche
se con risultati diversi, è obbligatorio citarli. Poche storie infatti sono state intrecciate più della loro: Dibiasi tre ori dalla piattaforma (Città del Messico 1968, Monaco 1972, Montreal 1976), Cagnotto 2 bronzi dalla piattaforma e due argenti dal trampolino, spalmati tra Monaco e Mosca 1980. Cagnotto e Dibiasi erano coetanei, dividevano la stanza in ritiro e tutte le gare dall'Olimpiade alla stracittadina e ritorno. 
I tuffi in Italia non avevano mai avuto storia. L'hanno fatta loro. E continua pure. 

    Sara Simeoni, Montreal 1976-Los Angeles 1984. E' stata la prima donna in un mondo pensato per gli uomini. Ai Giochi avevano già vinto altre, ma il primato del mondo era un'altra cosa. A Brescia nel 1978, tanto per capire, quanto saltò 2,01 per la prima volta non c'era stampa a salutare il record mondiale. Erano tutti ad assistere alla Coppa Europa maschile. Sara non è solo l'unica donna ad aver vinto tre medaglie olimpiche nell'atletica (due argenti, 1976 e 1984, e un oro, 1980) è stata quella che ha costretto, a suon di risultati, gli uomini ad occuparsi dello sport femminile alla pari. 

    Giuseppe e Carmine Abbagnale, timoniere Giuseppe "Peppiniello" Di Capua (Los Angeles 1984, Seoul 1988, Barcellona 1992). Agostino Abbagnale (Seul 1988, Atlanta 1996, Sydney 2000). Più che un mito un monumento di quelli con tante statue intrecciate insieme. Perché i fratelli Abbagnale sono stati anche per il mondo un'icona italiana, come la pizza, come la fontana di Trevi. Vincevano con una forza allegra, erano una certezza. Otto anni al vertice, due volte primi, una volta secondi. La festa era sempre quella: afferravano Peppiniello Di Capua uno per i piedi, l'altro per le braccia
e lo lanciavano in acqua. E non era nemmeno finita, mentre loro portavano al traguardo il "due con" (dove con sottintende il timoniere), il loro fratello minore Agostino raccoglieva il testimone e vinceva 3 ori tra "quattro e due di coppia" prolungando
la dinastia fino a Sydney 2000.

    Jury Chechi, Atlanta 1996, Atene 2004. La sua Olimpiade doveva essere Barcellona 1992. Dominava da anni gli anelli e il mondo lo credeva predestinato al gradino più alto in Catalogna. Si mise di traverso la sfortuna: tendine d'Achille rotto un mese prima dei Giochi. Per la ginnastica azzurra la diagnosi era il simbolo di una fine, perché così 28 anni prima aveva finito la sua avventura Menichelli. Invece Chechi tornò e si prese
ad Atlanta l'oro scritto nel suo destino, reso più nobile dal dolore attraversato.

    Domenico Fioravanti, Sydney 2000. Sono state sue nei 100 e 200 rana le prime medaglie d'oro del nuoto italiano. Prima solo l'argento di Novella Calligaris, nessun uomo mai solo al comando in vasca. Non furono le uniche e furono in casa dei più grandi nuotatori del globo. Cominciava lì una stagione di schizzi gloriosi che dura ancora. Fioravanti avrebbe vinto ancora, se il cuore non l'avesse forzato a un prematuro ritiro. 

    Stefano Baldini, Atene 2004. Ha annunciato pochi giorni fa che la sua avventura nell'atletica finisce qui definitivamente. E questo gli dà diritto a fare l'ultimo di questa prestigiosa fila, da cui sono esclusi, per il momento, quelli ancora in corsa, per quanto grandi. Perché il mito ha bisogno di decantare. La maratona di Baldini è di per sé una conclusione ideale. Ha corso e vinto sul percorso di Fidippide, da Maratona ad Atene, com'era scritto nel mito della Grecia antica. Di più, scusate, non si poteva.

Ps. La scelta è stata arbitraria e doveva essere breve. Ci perdonino i tanti
che avrebbero meritato e non ci sono.

                                                                                                                     E.Chi.

Dossier a cura di Elisa Chiari
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