Rivolte, "primavera" in Kazakistan

Nell'immenso Paese dell'Asia centrale, ricchissimo di materie prime e pozzi petroliferi, dilaga la protesta dei lavoratori. Stato d'emergenza, torture, punizioni. Un Presidente-padrone.

Intervista con l’eurodeputato irlandese Paul Murphy

30/12/2011
Paul Murphy, 30 anni, eurodeputato irlandese del partito socialista.
Paul Murphy, 30 anni, eurodeputato irlandese del partito socialista.

«Quello che ho visto è un paese ricchissimo in termini di risorse naturali, dove la maggioranza degli abitanti è incredibilmente povera. È chiaramente visibile che la ricchezza è appannaggio di una ristretta elite di persone che può ad esempio permettersi di costruire palazzi sfavillanti nella capitale Astana, mentre i lavoratori che stanno in zone più isolate sono costretti a vivere in condizioni indecenti». Paul Murphy, 30 anni, è un eurodeputato irlandese del partito socialista, l'unico rappresentante dell'Ue ad aver visto con i propri occhi la protesta che da sette mesi coinvolge migliaia di lavoratori kazaki.

Lavoratori dei pozzi petroliferi nella regione di Mangistau, nel Kazakistan.
Lavoratori dei pozzi petroliferi nella regione di Mangistau, nel Kazakistan.

Lei a luglio è stato nella regione di Mangistau, dove ora è praticamente impossibile entrare. Che tipo di protesta ha visto?
   «Ho visto lavoratori che rischiano la vita quando scelgono di organizzarsi per rivendicare i propri diritti. Ho avuto la possibilità di parlare con centinaia di loro e le richieste mi sono sembrate giustificate».

C'è solo la questione dello stipendio dietro le contestazioni?
   «Quello è il motivo principale, perché loro accusano le compagnie di non pagare gli stipendi concordati. Ma c'è anche la richiesta inascoltata del diritto di rappresentanza sindacale: questi lavoratori chiedono di poter formare dei sindacati indipendenti, dove i rappresentanti siano eletti direttamente dai lavoratori e non scelti dall'azienda, come invece avviene attualmente. Per questo la figura di Natalia Sokolova, l'avvocato condannato a 6 anni di prigione, era molto importante per loro. Inoltre i lavoratori hanno anche iniziato a chiedere la nazionalizzazione delle risorse petrolifere della regione di Mangistau».

Da maggio ad oggi che cos'è cambiato per queste persone?
   «E' cambiato soprattutto il livello di repressione. Più lo sciopero continuava e più la repressione del regime aumentava. Poco dopo la mia partenza dal Kazakistan un attivista sindacale è stato assassinato e qualche giorno dopo alla figlia di un manifestante è capitata la stessa sorte. Le case e le macchine degli attivisti sono state spesso danneggiate».

Le autorità kazake hanno detto inizialmente che queste sono proteste fatte da hooligans, gente interessata solo a creare violenza. Cosa ne pensa lei che queste le persone le ha incontrate?
    «È tipico dei regimi giustificare così le proteste. I lavoratori che ho incontrato sono persone coraggiose che vogliono il rispetto dei loro diritti. Erano molto ben organizzati, con discussioni democratiche e dei comitati eletti a cui spettava il compito di prendere le decisioni. Non possono essere definiti hooligans. E le affermazioni del regime sono contraddette dai video stessi postati in rete».

Perchè secondo lei finora i leader dei paesi occidentali non si sono esposti personalmente criticando quanto avviene in Kazakistan?
   «Sfortunatamente molti di loro sono contenti di poter continuare a fare affari con questo terribile regime, sono interessati al gas e al petrolio del Kazakistan. I cittadini dei paesi occidentali dovrebbero fare pressione sui loro governi affinché le atrocità che stanno avvenendo vengano condannate».

Crede che la protesta possa espandersi nel resto del Paese?
   «È ancora presto per dirlo. Di certo il governo è estremamente timoroso, anche perché queste contestazioni si inseriscono in un quadro di malcontento che coinvolge anche la Russia. Non dimentichiamoci che il mese prossimo in Kazakistan ci saranno le elezioni. Ciò che bisognerà vedere è se con la repressione di questi giorni i manifestanti verranno intimoriti e abbandoneranno la piazza. In ogni caso, credo che viste le condizioni di vita dei kazaki il governo prima o poi dovrà affrontare un movimento di protesta di massa nell'intero Paese».

Al Parlamento europeo state facendo qualcosa per fare pressione sul governo di Nazarbaev?
   «Con il mio gruppo abbiamo scritto una lettera al presidente Nazarbaev condannando il massacro di Zhanaozen. Inoltre stiamo cercando di far inserire nell'agenda della prossima assemblea plenaria, in programma a gennaio, un dibattito sui diritti umani. Se riusciremo nel nostro intento, sarà possibile votare una risoluzione per condannare l'azione del governo kazako».

Cosa dovrebbero fare secondo lei i leader dei Paesi europei?
   «Bloccare immediatamente i negoziati in corso per il nuovo accordo di partnership e cooperazione con il Kazakistan. Sarebbe incredibile se questi colloqui continuassero mentre il regime viola così palesemente i diritti umani basilari, le regole democratiche e i diritti dei lavoratori che l'Unione europea afferma di difendere».

Stefano Vergine
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