Dossier tasse: io pago, tu paghi, lui...

Le tasse come le paghiamo noi italiani e come le pagano i cittadini di altri Paesi. Il difficile equilibrio tra equità, giusta misura ed esigenze collettive.

Il bianco e il nero

01/01/2013
Barack Obama (Reuters; foto di copertina: Ansa).
Barack Obama (Reuters; foto di copertina: Ansa).

Obama trova l’accordo la notte di San Silvestro, Hollande discute con Depardieu e la Corte Suprema. Il 2013 sarà un anno fondamentale per le scelte in ambito fiscale in tutto il mondo. Negli Stati Uniti e in Francia la polemica è infuriata in queste settimane, in Italia e Germania la questione caratterizzerà il dibattito elettorale dei prossimi mesi. La questione è seria e particolarmente complessa, ma non può essere delegata in modo cieco a qualche "tecnico", è una delle fondamentali questioni che riguardano le nostre comunità.


Possiamo permetterci un Welfare come quello cui siamo abituati, con strumenti per intervenire in favore di chi è in difficoltà? Possiamo continuare a garantire l’accesso a servizi fondamentali come la scuola, la sanità e la previdenza sociale per tutti i membri della nostra comunità? Sì, naturalmente, a condizione di dividere su tutti lo sforzo per finanziarlo.  Farlo in modo equo ed efficiente permette di uscire dalla crisi e prevenire nuove crisi. Soluzioni non equilibrate lasciano spazio a pesanti vulnerabilità per tutti.

Il nodo però è intendersi proprio sulle parole equo ed efficiente. Negli Stati Uniti il Congresso ha votato la notte dell’ultimo dell’anno l’accordo che potrebbe permettere di evitare il fiscal cliff.  Senza una intesa sarebbero entrate in vigore automaticamente disposizioni che prevedevano gravi tagli nella spesa pubblica e aumenti vigorosi del prelievo fiscale, in misura più moderata per i lavoratori e in forma più pesante per la fascia più ricca di popolazione. La trattativa è stata estenuante: da un lato i democratici volevano evitare il taglio delle spese sociali, dall’altro i repubblicani cercavano di ridurre l’aggravio di tasse sui più ricchi. L’accordo è stato raggiunto in extremis e come tutti i compromessi lascia insoddisfatti molti.

In Francia in modo analogo si sta discutendo dell’aliquota del 75% introdotta dal Governo  per i redditi superiori a un milione di euro. Alcuni contribuenti particolarmente noti, come l’attore Gerard Depardieu, hanno deciso di trasferire la propria residenza in Belgio per sottrarsi a quel carico fiscale e il dibattito si è fatto vivacissimo. La questione del finanziamento delle spese che la comunità deve sostenere, cioè della spesa pubblica, è oggi centrale in tutte le nazioni, tanto più in tempo di crisi, quando un prelievo inadeguato può comportare il rischio di enfatizzare la crisi anziché superarla.

Due attenzioni sembrano essere prioritarie in questo momento, l’equità e la relazione tra efficacia ed efficienza nel creare stimoli che permettano di superare la crisi economica.  In merito alla prima rimane insuperato il principio che richiede a a ciascuno secondo le sue possibilità e dà a ciascuno secondo i suoi bisogni. Per questo i sistemi fiscali si sono oggi orientati verso la progressività dell’imposizione, con una esenzione totale per i redditi più bassi. Le spese fondamentali per garantire il minimo di una sopravvivenza dignitosa sono comuni a tutti. Man mano che il reddito cresce oltre quel minimo è più facile  mettere a disposizione della comunità una parte delle proprie risorse. L’accesso ai servizi come scuola e salute viceversa viene garantito per il solo fatto di essere una persona, non è  fornito in ragione del pagamento di una prestazione.

Per quanto riguarda l’impatto sulla crisi, i sostenitori delle posizioni più liberiste ripetono che le tasse riducono il reddito disponibile delle persone e impediscono così all’economia di riprendersi: persone e imprese spendono meno e conseguentemente suscitano meno lavoro per produrre i beni e si servizi domandati. Non va dimenticato però che proprio in tempo di crisi uno stato sociale consistente è in grado di operare trasferimenti di reddito che si traducono in stimoli espansivi e lavoro: gli interventi di sostegno al reddito per chi perde il lavoro, ad esempio, garantiscono alle famiglie una capacità di spesa che si trasforma in domanda e suscita lavoro. Cosi pure gli investimenti pubblici che migliorano le caratteristiche del territorio. Una strada o un impianto di abbattimento e riciclo dei rifiuti generano un beneficio generale (ad esempio per l’ambiente e la qualità della vita), migliorano l’efficienza delle imprese  (trasporti veloci e rifiuti gestibili) e creano lavoro per realizzarli. Quello fiscale, come molti altri,  è il classico  ambito nel quale diffidare di chi si presenta con le verità tutta bianca o tutta nera in tasca.

Riccardo Moro
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Postato da martinporres il 05/01/2013 13:19

Per antonel, abbiamo visto il federalismo in salsa leghista: il cerchio magico di Bossi, Belsito ecc. Penso che abbiamo già dato. CordialmenteMartin de Porres

Postato da antonel il 03/01/2013 12:02

Non sono una leghista, ma per buttare via la Lega abbiamo buttato via anche il Federalismo che avrebbe veramente comportato una svolta per l'Italia. Segnalo che negli Stati Uniti Obama pensa di portare la tassazione marginale sui più ricchi al 39 (trentanove!!!) per cento, mentre Hollande, triste esponente della Vecchia Europa, voleva far pagare il 75 per cento sopra il milione di euro di reddito ed è stato sconfitto prima dai ricchi (che stavano prendendo il passaporto belga), poi dalla Corte Costituzionale. È ovvio che negli Usa ci sono le tasse federali e quelle dei singoli Stati, però i cittadini elettori possono in questo modo controllare molto meglio gli eletti. Nella legge sul Federalismo erano previste due cose importanti: le tasse sulla casa concentrate tutte in una Imu (non quella oggi in vigore) a disposizione dei Comuni e quindi direttamente fissate dai sindaci; il costo standard per le forniture pubbliche, l'unico modo per tagliare la spesa: se una siringa costa 0.6 euro in Emilia, non può costarne 6 in Campania. I decreti attuativi non sono mai stati firmati. Ha vinto, mi spiace dirlo, il meridionalismo cialtrone e corrotto.

Postato da DOR1955 il 02/01/2013 15:35

Mi sembra che il professor Moro, con questo articolo, stia smentendo se stesso relativamente ad altri suoi articoli pubblicati su questa spettabile testata. Finalmente si rende conto (spero) che equità, lavoro, redistribuzione della ricchezza e sostegno alle classi più deboli sono una RISORSA e non una spesa. Cose che non ha fatto l'auto-decaduto governo Monti e che ora, se ritornasse a fare il presidente del consiglio, vorrebbe far credere di poter realizzare. Ma se i nomi che girano come "papabili" alla formazione del "suo" governo sembrano, come qualcuno ha scritto, membri del Rotary Club. E questi sarebbero quelli che si interessano dei problemi sociali del Paese?. O peggio ancora, come ha dichiarato Berlusconi, che solo chi non ha bisogno di denaro (alias i ricchi) possono governare per non cadere nella tentazione di rubare. Monti e Berlusconi, da questo punto di vista, mi sembrano proprio "due fratelli" gemelli.

Postato da martinporres il 02/01/2013 06:31

Articolo molto interessante. L'articolo "La differenza tra Usa ed Europa" omette di dire una verità: che gli Usa sono un paese che se sbaglia non paga; fa pagare gli altri.

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