Fanno il liceo, tifano Milan, ascoltano i Modà ma...

21/05/2013

Paradossi della nostra legge sulla cittadinanza: essere nata in Italia, averci vissuto per tutta la vita, ma dover ancora spiegare, con accento milanese, perché vuoi essere italiana. “Sì, se guardo i documenti, sono straniera, immigrata. Ma nella mia vita sono migrata solo una volta: quando, la mia famiglia si è trasferita da Cormano a Cornaredo… Ben 16 chilometri!”. Jenny, 16 anni, è nata all’ospedale Mangiagalli di Milano da genitori filippini: “Frequento il liceo scientifico, tifo il Milan di Balotelli, ascolto i Modà”. Secondo la legge italiana, Jenny è straniera, anche se nelle Filippine non ci ha mai messo piede. Anche suo cugino Mark, 23 anni, è uno “straniero in patria”; quando la sua famiglia è venuta in Italia, aveva già 4 anni e quindi, con la maggiore età, non ha potuto chiedere la cittadinanza. Racconta: “In quarta superiore, gita di classe a Praga: non riuscii ad andare a causa dei documenti. Capii che, nonostante mi sentissi italiano, ero straniero. Per un adolescente non è sempre facile reggere questa verità”.

Per Monnalisa, 19 anni, il paradosso diventa doppio. Lei si chiama pure come il ritratto italiano più famoso al mondo: “Il nome lo scelse mio padre, che amava una canzone di Mango allora molto in voga, Come Monnalisa”. Con lei, l’accento diventa toscano: “Mi sento italiana? Certo, questa domanda mi fa quasi ridere! Senza rinnegare nulla delle mie origini albanesi, sono qui da una vita”. A lei, nata in provincia di Pisa, la cittadinanza è appena stata rifiutata per “insussistenza dei presupposti”: nei primi 3 anni di vita non risulta iscritta all’anagrafe, per l’errore di un impiegato. Anche a Cristian, nato a Roma 18 anni fa da un uomo italiano che non lo ha riconosciuto e da una madre colombiana, hanno rifiutato la cittadinanza. Il motivo? È incapace di intendere e volere. Perché è affetto dalla sindrome di Down. E quindi, secondo lo Stato, non può giurare nella cerimonia di conferimento. Il caso dei ragazzi down evidenzia i danni provocati da un’altra stortura dell’attuale legge: la cittadinanza dei diciottenni nati e cresciuti in Italia non è un diritto, ma una concessione dello Stato. Che infatti, come in questo caso, può scegliere di non concederla.  

In Italia, succede anche che giovani nati e cresciuti in Italia non riescano a rinnovare i documenti e così vengano espulsi o rinchiusi in un Cie (Centro di identificazione e di espulsione), come racconta il documentario “Sta per piovere” ora nelle sale. O come è successo a Karim, 24 anni, anche lui con un forte accento milanese, in Italia dal 1996: proprio ora che la sua fidanzata ha scoperto di aspettare un bambino, è rinchiuso nel Cie di Ponte Galeria a Roma. Diversa la storia di Eduardo, 31 anni. Lui la cittadinanza italiana ce l’ha. Non parla italiano, non è mai stato nel nostro Paese e non sa il nome del Presidente della Repubblica. Ma spiega: “Nel 1907, la mia bisnonna partì dalla provincia di Treviso per emigrare in Argentina. Io sono nato e cresciuto a Buenos Aires”. 
Stefano Pasta

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