Quei sette anni sul Colle in un Paese spaesato

16/04/2013
Napolitano nel corso di una delle manifestazioni che celebrano l'Unità d'Italia (Afp/Getty).)
Napolitano nel corso di una delle manifestazioni che celebrano l'Unità d'Italia (Afp/Getty).)

Sette anni vissuti pericolosamente. Ma anche sette anni in cui il Quirinale ha costituito un punto fermo in un Paese in continua transizione, non senza momenti in cui i poteri della Repubblica parevano l’uno contro l’altro armati e in Parlamento il caos sembrava dettare legge.
In questo contesto Giorgio Napolitano, eletto al quarto scrutinio presidente della Repubblica il 10 maggio 2006, a 80 anni di età, si è assunto una missione difficilissima, senza precedenti: rappresentare un punto di equilibrio tra istituzioni e soprattutto parlare a un Paese spaesato, sempre meno unito.

Napolitano ha navigato lungo questi anni di smarrimento con tenacia e sobrietà.
La sua famiglia non è stata da meno. Gli inizi del settennato sono stati felpati. E anche il suo stile di vita, a parte le incombenze del ruolo, non è cambiato: sveglia alle sette, colazione, lettura dei giornali. Lavoro dalle nove all’una, pranzo, breve riposo, di nuovo lavoro fino all’ora di cena.
Poi, la sera, quando non ci sono impegni o viaggi, lettura con musica classica di sottofondo, o il Dvd di un film, o un talk show politico in Tv, ma solo in prima serata.
Il suo ruolo è andato aumentando man mano che la compattezza del sistema politico veniva meno. Napolitano non è mai stato interventista come certi suoi predecessori (Gronchi, Pertini, Cossiga o Scalfaro) ma non è mai stato nemmeno un notaio istituzionale. Ha preferito esercitare la sua “persuasione morale” man mano che gli venivano sottoposte le leggi da promulgare. Forte di 47 anni al Parlamento e della conoscenza della Costituzione, «utilizzata come grande terreno di connessione politica e civile», spiega Stefano Folli, decano dei commentatori politici, molto attento alle evoluzioni del Colle.

Napolitano ha difeso le prerogative delle Camere quando il Governo varava troppi decreti e ha continuato il “patriottismo costituzionale” avviato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, facendo uno sforzo enorme per ricomporre il federalismo all’interno del quadro istituzionale, liberandolo dalle pulsioni secessioniste.

Al Quirinale con il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino, il direttore dell'apostolato dei periodici San Paolo don Giusto Truglia e il condirettore del settimanale don Antonio Rizzolo (Giannotti).
Al Quirinale con il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino, il direttore dell'apostolato dei periodici San Paolo don Giusto Truglia e il condirettore del settimanale don Antonio Rizzolo (Giannotti).

Un grande sforzo è stato dedicato al superamento del “passato che non passa” della stagione degli anni di piombo. Il 9 maggio 2009, durante la seconda Giornata della memoria per le vittime del terrorismo, ha invitato a «scongiurare ogni rischio di rimozione » e ha fortemente voluto che Licia Rognini, vedova di Giuseppe Pinelli, e Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, ci fossero e si stringessero la mano. In questi sette anni le critiche al Colle non sono mancate, da destra e da sinistra.
Come quando, nell’agosto 2008, Napolitano promulgò (pur accompagnandolo da una nota di contrarietà) il lodo Alfano, la legge che riproponeva la sospensione dei procedimenti penali per le quattro più alte cariche dello Stato, poi bocciato dalla Consulta.

Ma il suo capolavoro politico, per il quale verrà ricordato nella storia, è la gestione della crisi di Governo dell’autunno 2011, quando il premier Berlusconi, consapevole di non avere una maggioranza adeguata (era andato sotto sul rendiconto generale dello Stato), salì al Colle per presentare le dimissioni, mentre nei mercati infuriava un attacco speculativo senza precedenti e l’Italia rischiava la bancarotta. Il capo dello Stato, dopo averlo nominato senatore a vita, incarica Mario Monti di formare un Governo tecnico. «Napolitano», ha scritto Paolo Franchi, nella sua biografia dedicata al presidente della Repubblica (Rizzoli) «è riuscito a evitare che l’Italia precipitasse nel baratro, senza esorbitare dal proprio ruolo, difendendo maestosamente le istituzioni». “Re Giorgio” titolò il New York Times. Anche quell’operazione incontrò l’approvazione dei cittadini italiani, se è vero che il suo indice di gradimento non è mai sceso sotto l’80 per cento. Il resto è storia di ieri.

Francesco Anfossi

a cura di Francesco Anfossi e Fulvio Scaglione
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