Emilia: la ricostruzione a un anno dal sisma

Un anno dopo il terremoto in Emilia: la ricostruzione procede tra mille difficoltà, ma tutti si sono rimboccati le maniche senza piangersi addosso. I racconti dai luoghi colpiti.

Celebrare Messa dentro un capannone

20/05/2013

Dicono Messa in un capannone che durante la settimana serve come laboratorio sociale. Il venerdì fanno sparire i banchi di lavoro con tutte le attrezzature e la domenica sera li rimontano. La cappella dei giorni feriali invece l’hanno allestita nella cucina del centro, l’altare di fronte ai fornelli.
Eppure è tutto molto bello, c’è anche un’icona con la Madonna del Terremoto, dipinta da una giovane suora. Siamo a Sammartini, frazione di Crevalcore. Ci accoglie don Francesco Scimè, parroco di Sammartini, Bolognina, Caselle e Ronchi, in tutto 1.900 anime.
Quattro chiese di campagna e nemmeno una rimasta in piedi.

«Speriamo che ne ricostruiscano almeno una», ci spiega davanti alle transenne della bella chiesa settecentesca dedicata ai santi Francesco e Carlo. Don Scimè appartiene a uno degli ordini ispirati al carisma di don Giuseppe Dossetti, le Famiglie della Visitazione.
Fanno parte della comunità una ventina di consacrati e una trentina di famiglie, che si sono stabilite qui negli anni ’80 acquistando e prendendo in affitto casolari di campagna in disuso. «Purtroppo molte di queste case non hanno tenuto e, viste le loro dimensioni, le spese per ricostruirle sono troppo alte: c’è chi ha dovuto andar via», spiega Francesca Bergamini, che vive qui col marito e due figli.

Tra i fortunati che hanno la casa agibile c’è chi ha deciso di dividerla. Altre famiglie stanno cercando soluzioni per riavvicinarsi. Tutti vorrebbero ricostruire quelle case cui sono legatissimi, per non impoverire la campagna. Per quanto riguarda la ricostruzione della chiesa, i tempi si prevedono lunghi per non dire eterni, ma don Scimè è intenzionato a continuare per la sua strada, nel capannone della cooperativa, anche se presto a Crevalcore funzionerà la nuova chiesa provvisoria donata dalla curia di Bologna.

«È bene che le comunità piccole mantengano la loro identità senza aumentare il senso di smarrimento che tutti noi abbiamo vissuto», cerca di spiegare, «la cosa bella è che tutti i parrocchiani si sentono coinvolti e partecipi, arrivo a dire che ci sentiremo disorientati quando torneremo alla normalità e riavremo di nuovo la nostra chiesa grande e solenne», scherza.

Anche sul momento della tragedia c’è qualcosa di buono da ricordare. «Avevamo molta paura, qui siamo a ridosso dell’epicentro della scossa di quel 29 maggio 2012, la terra tremava di continuo e nessuno voleva rimanere solo», racconta Francesca, «così abbiamo mandato in zone più sicure, presso amici e parenti, soprattutto le persone più anziane, mentre noi giovani abbiamo montato le nostre tende nel giardino della parrocchia. Siamo stati tutti insieme, per giorni e settimane, coi nostri bambini che lo prendevano come un gioco. Così siamo riusciti a farci coraggio e a venirne fuori».


Simonetta Pagnotti

Simonetta Pagnotti
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