Dossier: spari mentre il Governo giura

Il gesto di un folle che, però, si inserisce in una grave crisi economica e sociale. Quali sono i rischi e le risposte da dare per fermare la violenza.

Quando si evoca la piazza e il "golpe di Stato"...

28/04/2013
Beppe Grillo durante una manifestazione del Movimento 5 Stelle a Roma (Ansa).
Beppe Grillo durante una manifestazione del Movimento 5 Stelle a Roma (Ansa).

Ore 12.37. Luigi Preiti ha da poco fatto fuoco davanti a Palazzo Chigi, i due carabinieri feriti vengono trasportati in ospedale e al Quirinale mentre il giuramento del governo Letta è agli sgoccioli piomba la notizia della sparatoria. In Rete inizia il gran ballo dei commenti e delle reazioni. Su tutto, la solidarietà per i militari colpiti. Ma anche pericolose analisi. Sul blog di Beppe Grillo un certo Enrico scrive: «Ed ecco che dal nulla compare il "solito squilibrato", che osannato come una star prenderà posto su tutte le prime pagine dei vari quotidiani internazionali e non. Sembra un colpo magistrale architettato in modo perfetto. Ottima mossa di questo nuovo governo! Grandi!». Gli fa subito eco, un minuto dopo, Riccardo: «La stagione della strategia della violenza e appena iniziata. Ma almeno fate insediare il governo».
Più tardi, alle 15.10, uno che si firma “P.S.” affonda: «Ben vengano le stragi! Oddio! nulla a che fare con i due carabinieri, s'intende. Ma lo Stato, un certo stato gode di questo: è la strada più breve per arrivare al Grande Fratello, al Controllo. Istituendo un stato di polizia la politica si stacca ancora di più dal popolo frustrato e arrabbiato, attorniato da scorte sempre più numerose tra un po' sarà irraggiungibile ai più. È già successo..questa non è che l'inizio di un replica, si rinnovano gli attori ma le dinamiche sono sempre le stesse».

Su Twitter molti, politici compresi, rilanciano il vecchio adagio «Chi semina vento raccoglie tempesta». Accuse incrociate neanche troppo sibilline. Spesso traversali, secondo lo schema “dico a nuora, perché suocera intenda”. S'affastellano le analisi sociologiche, si fanno improvvidi accostamenti agli anni di piombo, si scava nel profilo dello sparatore. «Uno squilibrato, anzi no», battono le agenzie. «Un disperato che ha perso il lavoro e voleva suicidarsi con un gesto eclatante». Comunque, rassicurano il ministro degli Interni Alfano e il neo Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, «si tratta di un gesto isolato, non c'è nessuna regia».
Ma in un'Italia pericolosamente avvitata su se stessa e alla ricerca di uno scatto di reni per uscire dalla crisi le parole, da qualunque parte provengano, vanno maneggiate con cura. Con molto cura. Anche perché c'è sempre il rischio che qualcuno le prenda sul serio. Non è questo il caso, sembra. E in ogni caso speriamo che sia proprio così.
«Voleva sparare sui politici, ma visto che non li poteva raggiungere ha sparato sui carabinieri», fa sapere intanto il pm di Roma, Pierfilippo Laviani, dopo aver interrogato Luigi Prieti. «Ha confessato tutto. Non sembra una persona squilibrata».

Ignazio La Russa
di Fratelli d'Italia scrive su Facebook: «La predicazione dell'odio e dell'abbattimento dell'avversario che si manifesta anche col sistematico disturbo organizzato delle manifestazioni altrui a cui il centrodestra non si è mai accodato, può portare le persone psicologicamente predisposte all'uso criminale della violenza. Scontate le condanne anche sincere di ogni parte politica ma non basta per sentirsi tutti assolti». I toni si alzano, il putiferio aumenta. Molte le accuse, neanche troppo velate, a Beppe Grillo che poco dopo twitta: «Piena solidarietà alle forze dell'ordine e speriamo che sia un episodio isolato e rimanga tale». Poco prima i capigruppo del Movimento 5 Stelle, Crimi e Lombardi, in una nota esprimono solidarietà ai carabinieri e condannano l'atto di violenza.

Evocare la piazza è pericoloso. Sempre. E chi, in questo, è senza peccato tra i politici scagli la prima pietra. Beppe Grillo è solo uno degli ultimi.
A rielezione di Napolitano appena conclusa, dal suo blog evoca il “golpe” e chiama a raccolta tutti davanti a Montecitorio per poi fare dietrofront poche ore dopo per timore di incidenti e violenze: «Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione», scandisce solenne, «Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto "un colpo di Stato" (*) Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio...». Menomale per l'asterisco dopo “colpo di Stato”, ma le parole sono pietre. «Se falliamo, ci sarà la violenza nelle strade», spiegò l'8 marzo scorso il comico un'intervista al Time. Il 6 aprile scorso ai funerali dei tre suicidi di Civitanova Marche la gente gridava: «Assassini, questo è un delitto di Stato», e giù fischi alla presidente della Camera Boldrini.

Una stagione ad alta tensione come tante altre nella storia italiana. Nel 1993, in piena Tangentopoli, al grido di “boia chi molla” alcuni neofascisti presero d'assalto Montecitorio spaccando anche una vetrata d'ingresso: «Ma quale, ma quale / immunità parlamentare / il popolo, il popolo / vi deve giudicare». In Aula, intanto, il clima non era meno infuocato. «La smettano con queste buffonate, la smettano...», era il richiamo dell'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano a Luca Leoni Orsenigo da Cantù, il deputato leghista che il 16 marzo del 1993 sventolava il cappio durante un discorso del presidente del Consiglio Giuliano Amato.

In occasione del varo della legge sulla par condicio qualche anno Forza Italia e An strillarono: «È in corso un vero e proprio colpo di Stato!». E il leghista Luigi Perruzzotti: «Voi volete introdurre in Italia un regime totalitario! Non so se arriveranno anche i carri armati ma i segnali ci sono già. Noi non permetteremo che s'instauri un regime comunista!». Alla vigilia delle elezioni amministrative dell'aprile 2008 Umberto Bossi arringava i suoi sulle schede elettorali appena stampate: «È una vera porcata, se necessario imbracceremo i fucili contro la canaglia centralista romana», rea di aver pensato, tuonava il Senatur, «all'estremo inghippo delle schede, confuse, che inducono in errore l'elettore».

Antonio Sanfrancesco

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