03/07/2010
L'esultanza di Villa dopo il gol al Paraguay, che porta la Spagna in semifinale contro al Germania.
Tra la cicala e la formica vince sempre la formica. Potrà non piacere ma è così che va e non solo nelle fiabe con una morale. La cicala del calcio latino è bella, sa divertirsi e divertire, ma mettere in carniere i risultati una rete dopo l'altra, un tackle dopo l'altro, è un lavoro di pazienza: da formiche appunto. Da formichine europee, con buona pace di Italo Calvino che un giorno intitolò La formica argentina un romanzo che non parlava di calcio.
E non vale traverstirsi: il Brasile ci ha anche provato, a indossare panni simileuropei (tanto rimproverati a Dunga), ma l'Olanda non ha perdonato. Non basta il genio di Lionel Messi, sempre dappertutto con tre uomini addosso come succedeva a Maradona, che ora stringe in lacrime il suo rosario (che è cosa diversa da un amuleto e s'è visto). La Germania è diversa da quella di ieri, dell'altro ieri, di sempre, ma solida uguale: è una squadra di ragazzi che hanno storie partite lontano, diverse, multietniche, multicolore, ma sono squadra come pochi. Se fosse lo specchio di un Paese sarebbe un bel Paese. L'inno lo cantano sentendolo cosa loro, anche se i più hanno almeno un genitore partito da un'altra terra.
Non era come sembrava un turno fa: l'Europa non è finita, non tutta almeno. E' finita l'Europa che ha guardato solo indietro, che non ha saputo cercare avanti il proprio futuro. I'Inghilterra era la squadra più vecchia del Mondiale, l'Italia la seconda in quella classifica (ed era l'ultima classifica rimasta), la Francia si credeva ferma a quattro anni fa ed è implosa quando ha capito che il mondo aveva fatto strada. Nella Germania, invece, che ha rifilato un 4-0 spietato a un'Argentina non arresa almeno fino al gol del 3-0, ci sono giocatori classe 1990. Alla faccia dei giovani che - si dice - sprecano, sono individualisti, non sanno assumersi responsabilità. Dategliele e poi si vede.
Dall'altra parte del campo, certo, sarebbe stato bellissimo raccontare la storia di Diego Armando Maradona, genio del calcio ancorché maledetto, caduto e risorto. Ma lui è stato nella vita l'idea platonica della cicala e l'idea platonica della formica ha avuto ragione di lui. Sarebbe stato bello sognare con lui che si può toccare il fondo di tutto, sfiorare il sonno della morte, e poi risvegliarsi in un prato verde, in abiti da sposo, e ritrovare d'incanto la vita di quand'era ragazzo: quando ancora era tutto da fare e da sbagliare. Anche se non si tratta più di giocare ma di guardare gli altri giocare, decidendo come.
E' stato un sogno magnifico ed è stato piacevole cavalcarlo almeno per un po', ma è finito in frantumi contro un muro, che sarebbe facile e banale chiamare muro di Berlino, se non fosse che i ragazzi che l'hanno eretto idealmente su un campo sudafricano, hanno fatto in tempo appena a veder cadere il muro di Berlino vero. E neanche tutti. Uno di loro ne ha conosciuti solo i due brandelli che sopravvivono a futura memoria: uno all'Est, lungo la Sprea, affrescato dagli artisti, l'altro poco lontano da una postmoderna Potsdamer Plaz. Hanno vinto ragazzi figli della Berlino di oggi, crogiolo d'arte e di culture, che si ricostruisce pezzo per pezzo come una fenice, senza perdere mai le tracce del proprio doloroso passato. Un luogo che ha conosciuto troppa morte per non avere fame di vita e che la addenta dove può, anche su un campo di calcio all'altro emisfero del mondo.
Dall'altro lato del mondiale: una partita tra Spagna e Paraguay in cui non succede assolutamente nulla fino al 14° minuto del secondo tempo quando l'arbitro assegna un rigore al Paraguay per un fallo su Cardoso. E chi credeva di aver visto il massimo della follia rigorista al 120° di Uruguay-Ghana si sbagliava. Cardoso si fa parare da Casillas il rigore a favore del Paraguay e neanche un minuto dopo Villa atterrato ne ottiene uno per la Spagna. Tira Xabi Alonso. Segna, ma l'arbitro fa ripetere: troppi uomini in area. La seconda volta però la dea bendata tifa per il pareggio e Xabi Alonso restituisce il favore a Cardoso.
Un rigore per parte e 0-0. Paradossalmente, è quello che si meritano: un pareggio piatto piatto. Cardoso è un Torres paraguayano: molti gol, ma sempre altrove. In Sudafrica porta stregata. In compenso al 36° minuto il solito Villa (che fin qui ha fatto anche la parte di Torres), approfittando di un pasticcio difensivo del Paraguay, strappa la Spagna fuori dalle sabbie mobili proprio mentre ci sta affondando con tutti e 22 i piedi. Da qui in avanti, è la replica di Uruguay-Ghana. Perdere il treno dei desideri contro un avversario più forte è un peccato che si paga. Finisce 1-0.
E' un altro pezzo d'Europa che si salva. In semifinale vanno in tre su tre. E la Spagna delle tre si conferma la più latina: propensione allo spreco compresa.
Elisa Chiari