Sei nazioni, il trionfo del rugby

Sabato 2 febbraio comincia il prestigioso torneo che vede misurarsi le squadre di Galles, Inghilterra, Irlanda, Scozia, Francia (dal 1910) e Italia (dal 2000).

Il boom del rugby nel Belpaese: da nicchia a fenomeno nazionale

02/02/2013
Stadio tutto esaurito durante una partita di rugby della Nazionale, a dimostrare il grande interesse del pubblico per questo sport (Reuters).
Stadio tutto esaurito durante una partita di rugby della Nazionale, a dimostrare il grande interesse del pubblico per questo sport (Reuters).

Il Sei Nazioni, una miniera. Se il rugby italiano cresce è merito dello storico approdo, che risale all’ormai lontano 2000. Un movimento quasi di nicchia che s’è allargato sempre più. Certe prerogative (soprattutto la connotazione geografica, caratterizzata dalle abituali roccaforti) restano, naturalmente. Ma la crescita è stata impressionante, sotto innumerevoli punti di vista. I praticanti, innanzitutto. Perché il rugby fa audience, soprattutto tra i giovani. E ha grande appeal, sempre più. Guardarlo in tv è uno spettacolo, i ragazzi ne sono attratti.

Aumenta l’interesse, come il numero dei praticanti, più che raddoppiati da quando l’Italia ovale ha fatto il suo esordio nello storico torneo invernale. Le cifre spiegano tutto, non tradiscono mai. Nell’ultima stagione prima del Sei Nazioni i tesserati erano 30.815, nell’ultima annata rilevata dalla Federugby (la 2010-2011) i tesserati erano 71.494.

Un autentico boom, un’esplosione di interesse. Poi, si sa, l’esposizione mediatica (e non solo) conta molto, non solo sul fatto strettamente sportivo. Cambiano le prospettive, in tutti i sensi. Comprese quelle economiche, che assumono tutt’altre sembianze. Soldi che entrano, bilanci che lievitano. E uno sport povero che diventa più ricco. Il bilancio federale la dice lunga, decuplicato nel giro di circa 15 anni: contava 4 milioni nel 1997, ora ne conta ben 40.

Del resto, è lievitato tutto, in termini di quattrini, com’era logico che fosse dopo lo sbarco nel grande rugby. Gli sponsor una volta non erano che una voce minuscola di bilancio, mentre ora portano in cassa qualcosa come 6 milioni, mentre altri 12 arrivano dai diritti tv. Ma ancor più eloquente è il valore commerciale della maglia azzurra, quella che la nazionale di Brunel porta in giro per il mondo: fino al 1996 la federazione era costretta a comprare le divise (non c’era uno sponsor tecnico che le garantisse senza alcun esborso economico), ora tra i vari sponsor (tecnico e di maglia) le casacche azzurre valgono ben 2 milioni e 300mila euro.

E poi, ci sono gli incassi al botteghino, che pure contano, ancorché il numero di partite non sia così elevato. Il seguito di pubblico è esploso col passar degli anni, le entrate sono lievitati a dismisura. Perché il rugby tira, da quando l’Italia ha trovato la strada del Sei Nazioni.

Ivo Romano
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