Lucca, la solidarietà è protagonista

Volontariato: dall'11 al 14 aprile il Festival nazionale di chi - gratuitamente - dedica tempo ed energie agli altri, all'ambiente, alla tutela del patrimonio artistico e culturale.

Dentro tutti, ecco il Villaggio solidale

13/04/2013

Si chiama Villaggio solidale. Dentro tutti. Ci si rimbocchi le maniche e si cominci. Dall'11 al 14 aprile Lucca ospita il Festival nazionale del volontariato, quattro giorni di incontri, convegni e momenti d’animazione che mettono al centro una delle attività più impegnative e importanti dell’Italia tutta ma troppo poco presente nell’agenda politica ed economica del Paese. Tanto per capirci: quando una città offre e accoglie 400 relatori, un migliaio di volontari e 150 organizzazioni varie, con più di cento appuntamenti culturali, non si parla più di un microsettore che si ritrova e si compiace delle proprie attività, ma di un fenomeno sempre più imponente e importante. E allora, sarebbe facile dedurne che in Italia la situazione del volontariato, che chiama in causa direttamente le politiche di welfare, dovrebbe essere buona, molto buona, ottima.

Invece no. Anzi, sta per suonare l’allarme rosso sulle politiche di welfare dello Stato e degli enti locali. La situazione è davvero difficile e lo conferma una delle relatrici dei convegni lucchesi di questi quattro giorni, Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, che traccia un primo quadro della situazione nazionale partendo dal punto di vista delle donne.

Che il welfare in Italia sia stato sempre delegato al senso di responsabilità delle famiglie lo sapevamo già, ma Sabbadini mette a fuoco, in particolare, la situazione delle donne nella famiglia rispetto al problema delle “cure” nei riguardi di chi ha bisogno. Dice Sabbadini: «È in atto un processo di rimozione collettiva della centralità del problema della cura dei soggetti deboli in questo Paese. Nessuno si pone più questo problema. Ci sono altre priorità, si dice, di ordine economico, ma questo è, appunto, un problema economico. I cambiamenti del ruolo della donna nella famiglia e nella società hanno, di fatto, creato un problema: quello della cura delle persone più deboli all’interno della famiglia, dai disabili ai parenti anziani, ma anche ai giovanissimi».

«Oggi la donna», continua Sabbadini, «rispetto a un passato anche recente, ha meno ore a disposizione per quelle che chiamiamo “cure” di chi è debole: studia, lavora e, oltre tutto, deve anche farsi carico del lavoro della casa. La donna non ha  più il tempo che aveva prima. Dunque, il cambiamento della posizione della donna cambia anche l’idea di welfare. Chi ha bisogno di cure che non può dipendere solo dalla famiglia e dalle donne in particolare. E allora ecco che possiamo dire che è in atto un processo di rimozione collettiva della centralità del problema della cura dei soggetti deboli in questo Paese. Nessuno si pone più questo problema. La disponibilità di cura familiare non può che diminuire (oggi le famiglie in maggioranza sono strutturate da uno o due o al massimo tre persone), su poche persone  si carica il bisogno d’assistenza, ora non è più possibile».

Un quadro pesante che diventa allarmante: «Certo: più il tempo passa più i problemi si cronicizzano e si aggravano. Qualche cifra: tre miliardi di ore in una anno è il numero di ore di cura prodotte dalle donne all’interno della famiglia (genitori anziani, parenti disabili, nipoti, ecc). Cosa succederà quando queste ore obbligatoriamente diminuiranno? Lo spazio che si apre deve essere coperto da qualcuno. Ma se non viene coperto, per conseguenza aumenterà l’emarginazione sociale di quei segmenti ancora non emarginati, per ora».

Linda Laura Sabbadini (prima a destra).
Linda Laura Sabbadini (prima a destra).

Che fare, dunque? «Quanto più ci si impegnerà su questo terreno; quanto più coerenti ed effettive saranno le risposte, tanto più la società procederà in modo armonico. Se invece rinvieremo la soluzione del problema, e quanto più le risposte saranno contraddittorie, tanto più i problemi potranno esplodere e si diffonderanno sentimenti di sfiducia sia individuali sia sociali, sia di capacità politica. Non si può continuare a dire che i soldi non ci sono e le priorità sono altre. Welfare vuole dire anche questo: investire sulla cura di chi è più debole. Le nostre priorità devono essere riviste, risparmiando su altri fronti e rimettendo al centro questi aspetti».

Sabbadini vede rosa o è pessimista? «La percezione che ho è che non ci siano strategie nuove. Se le donne e anche le politiche di welfare si ritraggono, l’emarginazione sociale aumenterà. Insomma, la solidarietà è una vera risorsa ma deve essere accompagnata da una politica seria. Non affrontare il problema della cura e non dargli centralità significa avere dei costi sociali e, poi, nel tempo, economici enormi. E più si rinvia il problema più il problema aumenterà».

Manuel Gandin
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