La Parola, vitale come pioggia e neve

«Senza, l’esistenza umana si tramuta in un deserto sterile». Dalla prossima settimana, con Famiglia Cristiana, nove libri di approfondimento spirituale del cardinale Ravasi.

08/02/2013
Il cardinale Gianfranco Ravasi.
Il cardinale Gianfranco Ravasi.

Come la pioggia e la neve
 scendono giù dal cielo,
 e non vi ritornano senza averla irrigata,
 fecondata e fatta germogliare,
 per dare seme al seminatore
 e pane a chi mangia,
 così sarà della parola
 uscita dalla mia bocca 
(Isaia 55, 10-11)

La parola ebraica majîm, “acqua”, risuona 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydôrritorna 76 volte nel Nuovo Testamento (metà di esse nel solo Vangelo di Giovanni). Circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua perché – oltre ai vocaboli citati – c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento vitale, a partire dal mare che spesso ha connotati negativi, quasi fosse simbolo del caos che attenta al creato, passando attraverso le piogge (che in ebraico hanno nomi diversi secondo le stagioni), le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, la neve e così via.

Si comprende, allora, perché l’acqua si trasformi in un emblema di Dio che in un Salmo “primaverile”, il 65, è celebrato come il supremo agricoltore che irriga le campagne con il carro delle acque. Anche nella letteratura dei Cananei, gli indigeni della Terra Santa, si cantava «la pioggia effusa dal Cavaliere divino delle nubi versate dalle stelle», mentre il bacio fecondo del dio Baal faceva germogliare la vegetazione e il temporale era concepito come il suo orgasmo che donava alla terra arida e assetata il seme vitale della pioggia. A questa visione “panteistica” e materialista la Bibbia si oppone e vede nella «sorgente di acqua viva» (Geremia 2,13) solo un simbolo del Signore.

Nel frammento che ora proponiamo – e che costituisce in pratica l’ultima pagina del cosiddetto Secondo Isaia (capp. 40-55), profeta anonimo del VI sec. a.C. la cui opera è entrata nel libro del grande Isaia (VIII sec. a.C.) – l’acqua, unita alla neve, diventa invece un segno della parola di Dio senza la quale l’esistenza umana si tramuta in un deserto sterile. Ciò che il profeta vuole marcare è soprattutto la fecondità e l’efficacia di questa parola, comparata al tipico processo naturale della pioggia, dell’evaporazione, delle nubi e della nuova pioggia. È un ciclo vitale che trasforma la nostra vicenda umana quasi in una parola divina capace, a sua volta, di rendere fertili altri ambiti della storia.

Soprattutto si insiste sul vigore che ha in sé la parola di Dio: essa «non ritorna a me», dice il Signore, «senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata». Come è evidente, l’immagine idrica trascolora e trapassa in quella di un messaggero celeste che ritorna dal suo re dopo aver compiuto la sua missione. Lasciamo, però, questa suggestiva raffigurazione della rivelazione divina, fonte di vitalità spirituale, e ritorniamo alla più realistica pioggia da cui siamo partiti, che è anch’essa principio di vitalità ma fisica.

Concluderemo, dunque, con un’invocazione delle Diciotto Benedizioni, testo capitale del culto giudaico: «Siano rugiada e pioggia come una benedizione su tutta la superficie della terra. Benedici i prodotti della terra perché ne goda il mondo intero e concedi benedizione, abbondanza e successo all’opera delle nostre mani!».

+ cardinale Gianfranco Ravasi
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Postato da Teresi Giovanni il 09/02/2013 11:07

Esprimo la mia sincera gratitudine a Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi per i Suoi preziosi contributi di approfondimento ai Vangeli e per l'opportunità datami di poter esprimere i miei modesti commenti nella Sua rubrica "Le pietre d'inciampo del Vangelo". Per la tematica a riguardo (Isaia 55, 10-11) penso che le modalità con cui si è attuata l’opera divina nel passato offre anche una trama e i motivi letterari con cui descrivere l’avvenire. Il passato, spogliato della sua unicità storica, viene trasformato e idealizzato, assumendo così un valore esemplare: esso diventa un sogno espresso in forma simbolica che la fede afferma come realtà certa. Proprio perché è il Dio creatore, cui sottostanno tutte le creature, JHWH dirige gli eventi della storia umana mediante la sua onnipotenza e onniscienza. In questa prospettiva il profeta Isaia può parlare dell’ascolto della Parola, della sua infallibile efficacia, del suo certo compimento e della felicità che essa produce. Nel contesto storico dell’esilio la Parola è l’annuncio gioioso che Dio è presente in mezzo al popolo come Salvatore. Sin dal primo momento in cui questo vangelo è comunicato ed accolto con fede, la Parola comincia a realizzare la sua opera salvifica, che sarà poi estesa ad altri grazie alla propagazione che ne faranno coloro che in essa hanno creduto. La parola incontrerà certo anche l’opposizione da parte degli esuli, ma l’opposizione sarà vinta in una drammatica lotta. Giovanni Teresi

Postato da Bianchetti Andreino il 08/02/2013 16:10

Più che un "ritorno" la pioggia e la neve compiono un"loop", un giro perpetuo, eterno. Un giro ogni volta sempre più arrichito dell'amore di Di Dio, della sua misericordia , bontà e pazienza. I tempi di "secca" o le "alluvioni", sono forti richiami a onorare questo "loop" normale, a ricordarsi di Lui. Noi rincorriamo il "meteo", costruiamo i nostri idoli accanto ai progetti meteorologici, ci programmiamo una vita intera sulle misure del clima; tecnologie satellitari ci fanno da guida e da maestre sul futuro di pioggia e neve, su venti e tempeste. Dio diventa dettaglio sempre più piccolo, quasi nullo. Lui, però, continua a passare con tutta la sua onnipotenza in quella pioggia e neve mantenendoci in vita da sempre, ancora prima delle nostre previsioni tecnologiche.

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