03 nov
Hotel Les Crayères, Champagne.
C'era una volta un castello da fiaba nello Champagne, di quelli dove di norma c'é una principessa che dorme, o dove un principe affila spade per andare a salvare la suddetta principessa rapita chissà dove da qualche creatura perfida. Qui a Reims, nella città francese dove le principesse diventavano regine, sfila una storia di personaggi da fiaba, segreti, misteri e qualche magia da alchimista.
Cattedrale di Reims
Siamo nel regno dello Champagne, e per la precisione nella dimora dei marchesi di Polignac, costruita agli inizi del Novecento su una collina appena fuori città. Dal parco e dalle camere barocche, decorate da baldacchini, tappezzerie di tessuto dipinto e una profusione di oggetti d'antiquariato provenienti dal mondo intero, si gode un'impareggiabile vista sulle guglie della cattedrale di Reims, indiscussa perla dell'arte gotica.
Complice l'aura di santità che regnò per secoli attorno all'Ampoule, una fiala di balsamo che - si diceva - fu utilizzata per il battesimo di re Clodoveo, capostipite dei Merovingi, vennero incoronati tutti i re di Francia, a partire da Enrico I, fino a che i rivoluzionari mandarono in frantumi la Sainte Ampoule nel 1793. Ma non fu l'unica cosa ad andare in briciole nel corso della storia di Reims.
Una decina d'anni dopo la costruzione delle Crayères, la città fu il bersaglio dei bombardamenti tedeschi. La cattedrale fu più volte colpita, ne risultarono furiosi incendi che fusero la struttura in piombo del tetto e disintegrarono le preziose vetrate gotiche.
Dettaglio del portale della cattedrale di Reims
Terminata la Prima Guerra Mondiale, che costò lacrime e sangue alla capitale dello Champagne, venne creata la Società Cooperativa per la Ricostruzione di Reims, presieduta nientemeno che dallo stesso marchese di Polignac, patron delle Crayères.
Da allora i lavori per riportare il centro storico e la cattedrale agli antichi splendori sono stati innumerevoli. A riparare i danni delle bombe tedesche, regalando alla chiesa nuove splendide vetrate ci pensò negli anni Settanta Marc Chagall. In un antico atelier di vetreria a Reims, c'é un artigiano, Benoit Marq, che ebbe l'onore di lavorare col padre Charles a fianco del maestro, per la realizzazione di tre splendide vetrate policrome destinate alla cattedrale. L'immaginario colorato ispirato al mondo degli shtetl, i villaggi ebrei nell'Europa dell'est, cari a Chagall, é entrato cosí a far parte del patrimonio della città.
Se lo spirito di Reims é quello di una cittadina borghese di provincia, magari un po' sonnecchiosa, sorta di roccaforte dove al posto delle torri si ergono i filari di Champagne, il mondo intero pare essersi interessato alla città. Oltre a Chagall, l'artista di origine giapponese Fujita ha lasciato qui una cappella e numerosi capolavori. E oggi, anche se non c'é più il coraggioso marchese di Polignac a convergere l'attenzione su Reims, ci pensa il castello delle Crayères a farlo, attirando personaggi del mondo dell'arte e della cultura lungo tutto l'anno, vengono qui per l'eleganza delle camere, per la cucina deliziosa dello chef Philippe Mille e per il genio di un giovane sommelier, tale Philippe Jamesse, che gestisce con maestria la cantina in cui riposano circa quattrocento tipi di Champagne.
Alle Crayères viene ancora servito il vino con una romantica candela accesa davanti al decanter, per valutare il deposito e il sommelier Philippe ha brevettato un calice da champagne dalla foggia particolare, studiato per non disperdere neppure una molecola d'aroma. Qui il mondo dei vini prende un rigore matematico e chi vi opera, un'allure da scienziato e il fascino dell'alchimista.
Come nel passato a Reims, anche oggi alle Crayères ci si sente un po' re freschi di incoronazione. Sebbene solo per una notte.
La curiosità
La celebre casa di Champagne Dom Perignon, in collaborazione con la cucina delle Crayères, ha messo a punto un sistema esclusivo di controllo della temperatura sullo Champagne, in modo che il vino, portato a 8°, aumenti ogni quarto d'ora di un grado. Il cambio progressivo di temperatura fa sí che ogni quindici minuti lo Champagne cambi radicalmente sapore, aroma e sensazioni al palato. Lo chef Philippe Mille ha studiato - e il progetto ha preso la bellezza di un anno e mezzo - un menu speciale dove ogni portata é calibrata negli ingredienti in modo da sposarsi perfettamente con lo Champagne servito in quel momento, a quella precisa temperatura. Un lavoro da certosini del lusso.
Viene da pensare che se gli strateghi politici europei avessero un quarto di sapienza e amore per il proprio lavoro di ciò che questi giovani chef e sommelier mettono nello Champagne, avremmo probabilmente il PIL della Cina e il tenore di vita del Liechtenstein. Ma beviamoci su.
Pubblicato il 03 novembre 2011 - Commenti (0)
30 ago
L'hotel Connaught di Londra.
CONNAUGHT HOTEL, Carlos Place, Londra
"Paris outragée, Paris brisée, mais Paris liberée" (Parigi oltraggiata, Parigi distrutta, ma Parigi libera). La scritta campeggia su un monumento all'uscita della fermata di metrò Champs Elysées Clemenceau a Parigi. Ritto sul piedistallo, lui, il gigante. Charles De Gaulle, il generale che ebbe con la sua nazione una lunga, profonda e spesso sofferta storia d'amore. Quelle parole furono pronunciate il 25 agosto del 1944, quando la capitale francese fu libera dal giogo nazista. E questa ritrovata libertà, fu il debito che per generazioni la Francia contrasse col generale, eletto ben due volte Presidente de la République fino alla sconfitta del 1969, quando i tumulti della nuova generazione, figlia del Maggio francese, decisero che il tempo del generale era arrivato al tramonto.
Questo non impedí a Pompidou, nel 1970, quando De Gaulle si spense nella sua abitazione a Colombey Les Deux Eglises, di annunciare: "Il generale De Gaulle é morto. La Francia é vedova". E se ci fu un tempo in cui l'eroe di guerra fu innamorato della Francia, fu sicuramente durante il suo esilio a Londra, quando il maresciallo Pétain, consegnò il Paese in mano ai Tedeschi. Il quartier generale della Francia libera venne cosí creato nella capitale inglese, nei quartieri di Soho e Mayfair. Se gli uffici della Resistenza si installarono da quelle parti, c'era una ragione precisa. I bombardamenti tedeschi con le loro micidiali piogge di V2 avevano come bersaglio soprattutto l'East End e i docks, al fine di distruggere le fabbriche e i cantieri, mentre la parte ovest della città, quella di Mayfair, appunto, venne lasciata piú tranquilla.
La lounge storica dell'hotel nel cuore londinese di Mayfair.
Il 18 giugno del 1940 il generale, dalle frequenze di Radio Londra della
BBC, chiamò i compatrioti alla Resistenza. Dopo lo storico appello, é
probabile che De Gaulle andò a riposarsi e a meditare le prossime mosse
all'hotel Connaught, nel cuore di Mayfair. Nel periodo in cui fu capo e
regista delle azioni della Francia libera, questo magnifico hotel in
stile vittoriano, con la sua facciata in mattoni rossi, fu uno dei suoi
indirizzi londinesi. Ci abitò per mesi, qui incontrò più volte
Churchill, altro gigante. I due avevano caratteri troppo forti per
andare d'accordo, e troppo forti per non rispettarsi a vicenda. Come é
risaputo, la loro intesa fu fondamentale agli esiti della Seconda Guerra
Mondiale.
Spesso litigarono furiosamente, come quando la Royal Navy, a Orano in
Algeria, fece fuoco sulla marina francese, colpevole di non voler stare
ai comandi dei britannici che volevano sottrarre la flotta d'oltralpe
alle grinfie dei Tedeschi. Milleduecento marinai morirono in
quell'attacco. Li possiamo immaginare, Churchill e De Gaulle, la
tensione a fior di pelle, misurarsi a vicenda al bar del Connaught, tra
le boiseries di mogano, gli stucchi e le tende damascate, muti testimoni
di discorsi capaci di cambiare il mondo. E possiamo anche immaginare la
loro esultazione, quando nel '44, Radio Londra annunciava ai Francesi,
attraverso una poesia di Prévert, che il D-Day stava per avere inizio.
Deve aver festeggiato, De Gaulle. Magari avvicinandosi al carrello degli
Armagnac, dove troneggiano bottiglie di ogni annata per circa un
secolo.
L'hotel deve il suo nome al terzo figlio della Regina Vittoria, il
principe Arthur, primo Duca di Connaught. Lo spirito di De Gaulle
aleggia ancora nelle sale, oggi splendidamente restaurate grazie al
talento della designer India Mahdavi. Il generale sarebbe certamente
contento nell'apprendere che dal 2008, lo chef del Connaught é francese.
Si tratta di Hélène Darroze, unico chef donna ad avere ottenuto il
riconoscimento di due stelle Michelin (battuta solo dalla compatriota
Anne Pic, che di stelle ne ha tre).
Il Connaught ospita cosí un altro gigante, questa volta ai fornelli.
La curiosità:
All'hotel Connaught presero quartiere gli attori Audrey Hepburn e Rex
Harrison, protagonisti dell'indimenticabile pellicola My Fair Lady,
ispirata al Pygmalion di George Bernard Shaw. Il film fu girato a Londra
nel 1964.
Pubblicato il 30 agosto 2011 - Commenti (0)
13 ago
L'hotel "Casa de la Juderia" a Siviglia.
A due passi dal barrio Santa Cruz, a Siviglia, appena fuori dal dedalo di viuzze imbiancate a calce punteggiate di gerani, c'é la cattedrale. È lí che durante la settimana di Pasqua, giovani forzuti varcano la soglia maestosa a passo cadenzato, portando sulle spalle giganteschi baldacchini raffiguranti la Vergine e Gesù. È la Semana Santa, uno degli avvenimenti più sentiti di tutta la Spagna. Le confraternite dei penitenti incappucciati sfilano notte e giorno, l'impressionante baldacchino della Madonna della Macarena entra, non senza difficoltà, in cattedrale, verso le quattro del mattino.
Ma perché parlare della cattedrale quando bisognerebbe parlare di alberghi di charme e più precisamente di due deliziosi hotel del barrio Santa Cruz, il Rey de Baeza e la Casa de la Juderia?
Semplice. La buona ragione é che Siviglia é terra di passioni, e nel calderone delle passioni tutto si fonde: la religione, la storia, il folklore, l'identità di un popolo. Questo magma incandescente si fonde e dilaga; nessun angolo della città ne é indenne, ogni quartiere, ogni piazzetta, ogni vicolo e ogni monumento ne é impregnato.
E ogni albergo.
La Casa de la Juderia si sviluppa attorno a uno di quei patios fioriti che sono l'orgoglio del capoluogo andaluso. Il nome arriva dal passato, quando il barrio Santa Cruz si chiamava ancora barrio de la juderìa e qui venne ad abitare la comunità ebraica (judìos) dopo la cacciata dei Mori. Proprio in quel periodo il sultano Boabdil perse le sue belle città in stile mudejar, e si vide soffiare sotto gli occhi la fortezza dell'Alhambra a Granada. Sua madre gli disse allora: "Non piangere come una donna ciò che non hai saputo tenere come un uomo".
L'hotel "Casas del Rey de Baeza" a Siviglia.
Tenera, la mamma. E nella casa della juderìa non passarono soltanto i
judìos. Abbiamo cominciato parlando della cattedrale. Sotto la navata
principale, sono sepolti i resti di Cristoforo Colombo. Il grande
navigatore di origine genovese, durante il primo viaggio nel Nuovo
Continente, ebbe la discutibile trovata di portare con sé dieci indios
Taino, da offire in regalo ai reali spagnoli. In un'epoca in cui la
quantità di melanina nella propria pelle era inversamente proporzionale
alla quantità di diritti da far valere, quel regalo parve un atto
generoso.
Alcuni di quegli indios vennero alloggiati proprio qui, nell'edificio che ora ospita la casa de la Juderìa.
"Effetti colaterali" diremmo oggi, col cinismo di certo lessico
militare. Se la storia degli indios tainos é certamente triste, le
cronache ci informano che qualche decennio più tardi, la stessa casa
venne abitata da un personaggio grazie al quale il mondo si arricchì di
una perla letteraria e di un meraviglioso personaggio, benché
immaginario: Don Quijote. In quella casa infatti soggiornò a lungo il duca di Bejar, mecenate e sostenitore di Cervantes.
la piscina sul tetto dell'hotel "Casas del Rey de Baeza" a Siviglia.
Nel barrio di Santa Cruz, la storia passa come una brezza a volte
tiepida, a volte glaciale, fa tremare i fiori di bouganville e i rami di
glicine, taglia con lame di luce i muri bianchi, si insinua nei portici
della Casa de la Juderia. Ma un ritratto di Siviglia e di questo
quartiere in cui batte il cuore storico della città non sarebbe completo
senza un altro piccolo indirizzo di charme, la Casa del Rey de Baeza. È
il ritratto di un'altra Siviglia, quella popolare, quella che Prospero
Merimée ha immaginato nella storia della sigaraia Carmen.
Perché qui, ai tempi del re Alfonso III, il monarca che salvò dalla
distruzione il barrio e che regalò alla città, con l'Expo Iberico
Americana, l'impressionante Plaza de Espana, c'era un corral de vecinos.
L'edificio disposto attorno a un cortile interno su cui si affacciano
infilate di balconi, era popolato da diverse famiglie e il patio era
il cuore comune di questi piccoli microvillaggi che vennero a crearsi
quando i nobili abbandonarono gli sfarzosi palazzi del centro per
trasferirsi fuori città, e questi vennero popolati da famiglie proletarie che li trasformarono in appartamenti.
Queste vivaci e piccole comunità raccontate da Calderon de la Barca e da
Merimée, erano rette da una casera, una figura a metà fra la portinaia e
l'inflessibile amministratrice, a cui spettava il malcelato piacere di
mettere in strada il mobilio degli inquilini morosi. Oggi la Casa del Rey de Baeza é un romantico hotel in stile andaluso, con una piscina sul tetto - particolarità unica nel quartiere - da cui godere la vista sulla Giralda e sul tappeto di tegole rosse della città di Carmen.
La curiosità
I ristoranti di entrambi gli hotel servono naturalmente un ottimo gazpacho, piatto tradizionale andaluso a base di verdure.
L'origine del nome deriva dall'arabo "caspa" che indicherebbe i pezzi, i
frammenti di vegetali e pane contenuti in questa zuppa fredda. Un
antico sinonimo del gazpacho era "capon de galera" e indicava la
minestra data agli schiavi che remavano sulle galere. È la stessa
etimologia della nostra italianissima "caponata".
Pubblicato il 13 agosto 2011 - Commenti (0)
27 lug
Juan Les Pins
Certi luoghi sono immediatmente identificabili come simboli di un'epoca:
monumenti, palazzi, piazze, edifici pubblici, mattoni, pietre, colonne
e affreschi ci parlano dei personaggi che hanno tessuto la storia,
delle atmosfere del tempo che fu, delle epoche passate che ormai
affiorano soltanto nel cinema o nei romanzi.
Poi ci sono gli hotel
leggendari, questi coacervi esclusivi di atmosfere e di svariata
umanità, ognuno dei quali ha vissuto la propria "età dell'oro" ed é
entrato di diritto fra i protagonisti di un'epoca. l'Hotel Belles
Rives di Juan Les Pins sulla Costa Azzurra, é sicuramente fra questi.
Acquistato nel 1929 dalla famiglia Estène e oggi proprietà di Marianne
Estène Chauvin, erede della famiglia, questo gioiello Art Déco fu la
residenza estiva dello scrittore Francis Scott Fitzgerald e della moglie
Zelda.
Qui, il celebre autore scrisse il suo quarto romanzo, "Tenera é la
notte", un inno agli "Annés Folles", il decennio Venti- Trenta, per
tutta quella generazione di Americani innamorati della vecchia Europa,
che vedevano Parigi, Roma e la Costa Azzurra come un Olimpo per
creature un po'magiche. E qualcuno, da quelle parti, immortale lo
divenne davvero, almeno nella fama.
Fitzgerald, ad esempio. Ci fu un
tempo in cui gli Americani non pensavano ancora ad esportare catene di
fast food, basket shoes e talvolta, concetti sui generis di
democrazia. Fitzgerald seppe dipingere con maestria il mondo della
comunità artistica internazionale che bazzicava la Francia negli anni
del Charleston, della musica di Cole Porter, delle feste interminabili
scandite ai ritmi di gioia e al tempo stesso decadenza, dei passi
incerti di una generazione fragile, assalita da un indefinibile mal di
vivere.
Quegli anni furono un fuoco d'artificio partito dai cannoni
arrugginiti della Prima Guerra Mondiale e destinato a spegnersi
all'affacciarsi della Seconda. Come ben si può leggere nel "Grande
Gatsby" o in "Tenera é la notte" di Fitzgerald, o ancora in "Festa
mobile" di Hemingway, vigeva il carpe diem, interpretato come un
disperato amore per l'"adesso e subito". Una gioventù stretta tra uno
ieri tragico e un domani minaccioso, sceglieva l'opzione edonista di una
vita coniugata solo al presente.
"Tenera é la notte" prese corpo qui, nelle stanze soprattutto popolate
nottetempo, da Picasso, Rudolph Valentino, John Dos Passos, Jean
Cocteau e dall'onnipresente Hemingway. Nei saloni art déco
impreziositi da dipinti cubisti, nei viali del giardino affacciato
sul Mediterraneo e sull'arcipelago delle Lerins, si muoveva spesso la
coppia dei Murphy, Gerald e Sara, due miliardari americani rifugiati
in Europa per sfuggire alle convenzioni famigliari e a un destino
segnato di studi a Yale e carriere imprenditoriali. Nelle pagine di
"Tenera é la notte", Fitzgerald si ispirò alla coppia per descrivere i
protagonisti, Dick e Nicole Diver.
Quest'anno, Marianne Estène Chauvin, proprietaria dell'hotel, ha
creato il Premio Letterario dedicato al leggendario autore americano.
La prima edizione é stata vinta da Jonathan Dee, scrittore e
giornalista per il New York Times Magazine.
Oltre ai premi
"ufficiali", per il vincitore c'era in serbo una sorpresa originale:
una notte da trascorrere in quella che fu la camera di Francis Scott
Fitzgerald, col sottofondo della musica suonata fino all'alba da
un'orchestra al piano di sopra. Era uno dei desideri dello scrittore,
immaginato una delle tante sere trascorse nella villa di Juan Les Pins,
dopo una delle tante litigate con l'impetuosa moglie Zelda.
Show must go on. Lo show deve continuare.
Hotel Belles Rives Juans Les Pins - Cap d'Antibes
La curiosità:
Il molo per l'attracco delle barche al Belles Rives fu
il set per la sigla di "Attenti a quei due" serie tv cult di
spionaggio con protagonisti Tony Curtis e Roger Moore.
Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (1)
26 lug
Saint Tropez
La Ponche ha sempre avuto uno charme particolare.
E'stato forse l'ultimo quartiere a veder sostituire i pescatori seduti
sul molo a rosolare sardine, coi rampolli del jet set scesi da yacht
interminabili e le donne intente a riparare le reti, con fanciulle
appariscenti issate su tacchi vertiginosi.
La Ponche é pigra, ha
quell'indolenza dei paesi dove é sempre estate e ha poca voglia di
cambiare. Eppure la storia é passata di qui e più precisamente da un
grazioso edificio giallo chiamato Hotel de La Ponche, il più piccolo e
certamente il più originale fra i quattro stelle di Saint Tropez.
Decenni di cultura francese e generazioni di artisti sono passati
sotto gli occhi della donna che, aldilà del vecchio bancone di zinco
che farebbe la gioia dei collezionisti, ha vegliato per mezzo secolo
sull'evoluzione di questa borgata marinara diventata regina del mondo
VIP.
Questa donna si chiamava Marguerite e aveva un cognome italiano,
Quindici.
La sua famiglia era originaria di un altro posto di mare, Procida. E
come tutte le genti cresciute davanti al gigante blu, Marguerite aveva
imparato a non montarsi mai la testa e a guardare con un occhio di
distacco tutto quell'agitarsi di starlette, cervelloni e geni folli
che sedevano alla sua terrazza assolata.
Eppure Juliette Greco, aveva
detto un giorno: "Se i muri della Ponche potessero parlare..."
I muri sono rimasti silenziosi, ma Simone Duckstein, figlia di
Marguerite, rivela con gioia la sua cornucopia di ricordi. La storia
dell'hotel é talmente densa di avvenimenti che il passato ha pensato
di avanzare un passo nel presente, rimanendo tangibile nelle stanze
incastonate fra le tegole rosse del borgo, già dipinte da Paul Signac
e Matisse.
Seguendo il filo dei racconti della Duckstein, pare di
vederlo, Roger Vadim, seduto al bancone con aria contrariata e intento
a ordinare dosi doppie di liquore per dimenticare la storia che sta
nascendo sul set di "Et Dieu crea la femme" tra la "sua" Brigitte
Bardot e Jean Louis Trintignant. E pare di vederla, lei, la
leggendaria Bardot, col suo inconfondibile broncio da bambina e il suo
vestito a quadretti vichy, ballare sui tavoli della terrazza sotto lo
sguardo pieno di disapprovazione di Marguerite. E pare di vederlo,
Boris Vian trascorrere notti insonni a parlare di tutto e di niente
con Albert, il marito di Marguerite. Questi dopo una giornata di
lavoro cascava dal sonno, ma quel parigino stravagante, arrivato qui a
bordo di una lenta vettura d'epoca, una Brazier del 1911, a lui era
proprio simpatico. Poi ci fu Orson Welles.
A Saint Tropez, ogni anno a
maggio si celebra da ben cinque secoli la "Bravade", una vivace
processione di uomini in antica divisa militare e donne in costume
provenzale. Orson Welles si divertiva a disegnare schizzi di quella
folla multicolore, seduto alla terrazza della Ponche. Quel carnet finí
alla figlia Rebecca, avuta con la divina Rita Hayworth e un giorno
Rebecca lo offrí a Simone Duckstein, attuale proprietaria dell'hotel,
che lo tiene ancora gelosamente nell'ufficio dell'albergo.
Da piccola
Simone si aggirava fra i tavoli degli adulti più o meno illustri che
soggiornavano lí per l'estate. Alcuni, come Simone De Beauvoir con un
insolito turbante in testa e Jean Paul Sartre con la sua pinguedine e
i suoi spessi occhiali da miope, la incuriosivano. Altri, come Picasso
dagli occhi severi color carbone, la terrorizzavano e altri ancora,
come la leggiadra Romy Schneider, la affascinavano. Una delle ospiti
più fedeli a quelle stanze fu senza dubbio la scrittrice Françoise
Sagan, icona della Nouvelle Vague e autrice di "Bonjour tristesse".
Tornò ogni anno, immortalando La Ponche nel suo libro di memorie "Avec
mon meilleur souvenir". Col mio migliore ricordo. Forse, quello di
un'intera generazione di artisti cristallizzata per sempre nell'età
della spensieratezza.
La curiosità
La famosa "moda alla marinara" che imperversò negli anni
Sessanta, venne lanciata da Catherine Vachon, la cui modesta boutique
di vestiti era allora accanto all'hotel La Ponche. Un giorno,
Catherine ebbe l'idea di usare come modella per le sue magliette a
righe una turista di sedici anni. Quella ragazzina si chiamava Brigitte
Bardot.
Pubblicato il 26 luglio 2011 - Commenti (0)
25 lug
di Eva Morletto
Parigi
Qualche anno fa, a Parigi, un medico dell'ospedale Hotel Dieu, tale Damien Léger, mise a punto un dispositivo speciale per confortare i pazienti afflitti da problemi d'insonnia.
L'apparecchio si chiama Night Cove ed emana una luce rossa diffusa capace di favorire lo sviluppo della melatonina, l'ormone del sonno. Oggi questo dispositivo si trova in tutte le lussuose suite del Plaza Athenée, uno degli hotel
più esclusivi della capitale francese, per conciliare i sogni d'oro
degli ospiti... dalla carta di credito Platinum.
Anche senza marchingegni tecnologici, in ogni modo il Plaza ha sempre
avuto a che fare col mondo dei sogni. Quelli dei bambini ad esempio.
È l'unico albergo al mondo ad avere suite speciali per i piccoli.
Quella per le bambine é arredata come una casa di bambole in grandezza
naturale, con tanto di letto a baldacchino rosa, e quella per i
maschietti vanta un autentico circuito di auto telecomandate che
scorrazzano per la stanza.
Se gli infanti nababbi possono far
sorridere, il Plaza nasconde molti altri segreti, molti ricordi simili a fiabe, ma senza nulla di lezioso, bensí carichi di avventura, intrigo, e talvolta tragedia.
L'hotel venne inaugurato nel 1913, a due
passi dal Teatro degli Champs Elysées. Mezzo secolo prima, Napoleone
III incaricò il barone Haussmann di rivedere l'intera urbanistica parigina, per fare della Ville Lumière una capitale piú moderna.
Vennero rasi al suolo interi quartieri di impianto medievale e sorsero
i famosi "boulevard" (si dice che il nome derivi da "boules vertes",
sfere verdi, in riferimento alle chiome degli alberi che li
costeggiavano), i lunghi viali alberati che ancora oggi attraversano
la metropoli, sui quali si affacciano centinaia di palazzi
dall'inconfondibile charme ottocentesco.
Il Plaza Athenée é uno di
questi.
Nell'anno dell'inaugurazione, il mondo ribolliva e i semi d'odio che
avrebbero generato la prima guerra mondiale, erano già stati sparsi.
L'Europa aveva ancora un'identità profondamente monarchica. Sulla
Russia regnava Nicola II e un semisconosciuto Stalin veniva arrestato
in Siberia per ordine dello zar.
Furono in molte, allora, le teste
coronate e gli ospiti di sangue blu a varcare la soglia del Plaza
Athenée. Poi la guerra fece saltare tutto in aria e alle principesse
si aggiunsero i diplomatici, i militari, gli agenti segreti, le spie.
Fra questi ultimi ci fu una danzatrice di origine olandese, Margareta
Geertruida Zelle.
La signorina Zelle abbandonò presto il bucolico
paesino di Leeuwarden nei Paesi Bassi per raggiungere il futuro
marito, un ufficiale della marina molto più anziano di lei, in
Indonesia. Divorziò, voltò i tacchi e tornò in Europa, ma se l'amore
per il marito era venuto meno, Margareta si infatuò della danza, e da
quelle terre esotiche portò con sé suoni, costumi, movimenti.
Approdata a Parigi, divenne una ballerina di successo, finché il
collezionista d'arte orientale Emile Guimet le suggerí il nome d'arte
che la propulsò nella leggenda: Mata Hari, che in malese significa
"sole".
Ahimé, il sole di Mata Hari si spense presto, e proprio nelle stanze
del Plaza, dove venne arrestata nel 1917 con l'accusa di spionaggio e
doppio gioco. La bella danzatrice, alias agente H-21, avrebbe
collaborato sia coi servizi segreti tedeschi che con quelli francesi.
Si dice fossero proprio i tedeschi ad averla "venduta", parlando di
lei e dei suoi favori in un codice radio obsoleto, già decifrato dagli
agenti d'oltralpe.
Il Plaza Athenée fu cosí testimone della fine
tragica di una delle figure femminili più affascinanti e misteriose
del Novecento.
Dopo di lei, giunsero al numero 25 di avenue Montaigne
molte altre dive: Josephine Baker, Grace Kelly, Jackie Onassis e più o
meno tutte le icone femminili del secolo scorso. Ma fu lei, Mata Hari,
quella sorta di Icaro che volle librarsi troppo in alto fino a
bruciarsi le ali, a dare la nota di inizio alla leggenda.
Hotel Plaza Athenée
25, avenue Montaigne
75008 Parigi
La curiosità
Lo chef del Plaza Athenée é il celebre Alain Ducasse,
uno dei maestri di cucina più creativi al mondo. Qualche anno fa
Ducasse, indignato dal fatto che fossero costretti a ingurgitare
pillole insapori, inventò un menu per... gli astronauti.
I piatti
devono resistere a condizioni estreme, ad esempio vengono testati sotto
temperature polari.
Cosí, grazie a Ducasse, nelle navicelle spaziali si possono mangiare
quaglie arrostite con puré alla noce moscata e pudding di riso con
frutti canditi. Con buona pace dei produttori di pillole liofilizzate.
Pubblicato il 25 luglio 2011 - Commenti (0)
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