di Don Marco Sanavio
Prete della diocesi di Padova. Si occupa di coniugare la tecnologia con la pastorale. Ha collaborato con la Conferenza episcopale italiana per il Grande giubileo del 2000. È nel consiglio direttivo dell’Associazione webmaster cattolici italiani. A Padova è direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi.
11 giu
“No hate speech movement” (nohatespeechmovement.org) è il nome di una campagna promossa dal Consiglio d’Europa per stimolare i giovani stessi a combattere razzismo e discriminazioni all’interno del web.
L’ “hate speech”, ovvero il linguaggio offensivo, comprende secondo la definizione data dal Consiglio d’Europa «forme di espressione che incitano, promuovono, incitano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza».
Di questo fenomeno se n’è parlato anche alla Camera in occasione del seminario "Parole libere o parole d'odio? Prevenzione della violenza on-line" organizzato dalla presidente Luisa Boldrini per il 10 giugno scorso. L’evento è stato trasmesso, oltre che sul canale satellitare, anche in streaming sulla web tv della Camera catalizzando poco più di una trentina di utenti connessi contemporaneamente nei momenti di picco. Pochi anche i tweet sull’argomento identificabili con l’hastag della campagna europea #nohatespeech. La sintesi, ben riassunta dall'intervento di Rodotà: il problema non è la Rete ma siamo noi, gli utenti. Nulla di nuovo. L’avevamo intuito da tempo ma probabilmente ci mancano strumenti formativi efficaci.
Il segnale istituzionale è stato dato, si tratta di primo passo significativo. Probabilmente, però, una tematica così importante, in un momento in cui sembra acuirsi la violenza verbale in Rete e le tragiche conseguenze che abbiamo visto emergere negli ultimi mesi, merita più attenzione.
Non sono pochi gli adolescenti che portano nella psiche e nell’anima ferite inferte tramite il web. Che dire loro se non che forse stiamo facendo troppo poco per educarli, aiutarli e sostenerli nell’abitare questo ambiente digitale che pervade tutta la loro giornata? È probabile che, oggi, la strategia migliore per contrastare questi fenomeni sia quella di mettere in campo giovani educatori in favore di altri giovani, dato che spesso le generazioni precedenti si sentono inadeguate a gestire il problema. Questa è la strategia di “No hate speech movement”. Agenzie educative che avete risorse per agire in questo ambito, non siate timide. Se guardate fuori dalla Penisola intuite che è già tardi.
Pubblicato il 11 giugno 2013 - Commenti (0)
30 mag
Myrhiàm, il nome aramaico di Maria, la madre di Gesù trova spazio anche su Wikipedia, la libera enciclopedia della Rete che ormai è diventata punto di riferimento autorevole per quanti eseguono ricerche in Internet e bussola utile a tratteggiare i contorni di questa fisionomia così cara al culto cristiano. La parte del leone la fanno i siti sorti spontaneamente dalla pietà popolare o fanno riferimento a santuari più o meno noti. Siticattolici.it, lista aggiornata delle pagine web generate in ambito cattolico, ha indicizzato 500 siti relativi a santuari, mentre con la chiave di ricerca "Maria" restituisce oltre 1900 risultati e alla voce "Madonna" corrispondono quasi 400 siti. Vi sono poi veri e propri portali dedicati ad elenchi di santuari in Italia e nel mondo, spesso indicati anche negli itinerari turistici come luoghi di riposo e benessere.
Google, alla voce “rosario”, indicizza oltre duecentomila voci che
vanno dalla spiegazione più semplice della nota preghiera mariana alla
vendita online del “rosario elettronico”, un piccolo apparecchio che
recita misteri e preghiere tenendone il conto e alternandosi alla voce
della persona che lo utilizza. Vi sono poi riferimenti più
istituzionali, come il sito della Pontificia accademia mariana
internazionale (pami.info) o la Pontificia accademia dell’Immacolata
(accademiaimmacolata.it), un circolo giovanile che fa riferimento alla
Santa sede e si occupa anche di pastorale con uno specifico sguardo
mariano. Non si contano i siti che trattano di apparizioni, presunti
messaggi, segreti già rivelati o ancora custoditi.
In questi casi il cybernauta è avvisato: è bene usare la massima
prudenza. Gran parte di queste pagine web sono scritte esclusivamente a
titolo personale e spesso contengono affermazioni distorte e inventate
che rischiano di creare confusione e smarrimento negli utenti. Ai
cristiani cattolici viene chiesto di credere a quanto è stato rivelato
su Maria dalla Sacra scrittura e a ciò che è stato consegnato dal
magistero della Chiesa, tutto il resto fa parte di
quelle rivelazioni private verso le quali non c'è nessun obbligo. Da
una semplice ricerca sul “ranking” dei siti, una sorta di indice di
popolarità, sembra siano molti più gli utenti che si affannano a
indagare notizie su segreti non ancora rivelati di quanti cercano brani
biblici o documenti ufficiali. L’esortazione apostolica "Marialis
cultus", ad esempio, scritta da papa Paolo VI per fornire indicazioni
chiare sul culto mariano, non è certo difficile da trovare in Rete ma,
probabilmente, ce ne si è dimenticati troppo presto. (clicca qui perleggerlo nella versione integrale).
Marco Sanavio
Pubblicato il 30 maggio 2013 - Commenti (0)
08 mag
Spesso i familiari di persone defunte continuano a usare i social network e a postare contenuti per loro. E' giusto? (foto Corbis)
«Vi abbraccio tutti e vi raccomando di fare attenzione a papà, soprattutto quando guida» la frase che rivela affetto e cura familiare non avrebbe nulla di strano se non fosse comparsa sul profilo Facebook di una giovane mamma prematuramente scomparsa. È un fenomeno che si sta intensificando, con cifre significative, quello della presenza nei social network di account che continuano a rimanere attivi anche dopo la morte della persona che li ha aperti. Qualche familiare, a conoscenza della password di ingresso, continua a scrivere in sostituzione della persona defunta.
Il fenomeno fa riflettere: se per un verso emerge il riflesso della fede cristiana nella vita che continua oltre la morte, dall’altro vien da chiedersi se non sarebbe stato più opportuno congelare il profilo all’interno del social network alla scomparsa della persona stessa, se non eliminarlo completamente.
In Rete, già da qualche tempo, si discute di “Diritto all’oblio”.
Per analogia con il termine già utilizzato nel diritto, dovrebbe concretizzarsi nella possibilità di fare cancellare tutti i propri dati personali conservati nei vari archivi elettronici dopo la morte. Ci si chiede se, vista la gran mole di dati consegnati da ciascuno all’elettronica, sia una pratica possibile.
Il messaggio inviato da papa Benedetto per la 47a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali si conclude con un invito chiaro: «Non ci dovrebbe essere mancanza di coerenza o di unità nell’espressione della nostra fede e nella nostra testimonianza del Vangelo nella realtà in cui siamo chiamati a vivere, sia essa fisica, sia essa digitale.»
Il web sviluppa una dimensione spirituale molto potente, forse per questo molti ritengono opportuno sottolineare la loro fede nella vita che non muore continuando a scrivere al posto della persona cara passata a miglior vita.
La coerenza con l’esistenza terrena e con le prospettive del Vangelo ci suggerisce, però, che è più rispettoso e corretto chiudere o congelare i profili personali al termine della vita. Il ricordo della persona cara è più opportuno consegnarlo alla fede personale e alla preghiera.
Pubblicato il 08 maggio 2013 - Commenti (0)
17 apr
L’11 settembre 2001 non esistevano Facebook e Twitter, tantomeno Youtube nato nel febbraio 2005. La gravità dell’attentato veniva restituita in tempo reale dalle immagini della tv che già dal primo pomeriggio avevano catalizzato l’attenzione del mondo intero.
Quanto è successo durante la maratona di Boston del 15 aprile scorso è rimbalzato in pochi secondi in ogni angolo del pianeta grazie alla capillarità dei social media generando un potentissimo “buzz”, un rumore di fondo che si è trasformato ben presto in condivisione, partecipazione interattiva, per qualcuno anche in preghiera online. #prayforboston (prega per Boston) è stato uno degli hastag più popolari nelle ore successive all’attentato. Analogamente a quanto successo in occasione del terremoto di Haiti si è iniziato a cercare i dispersi grazie a servizi come Person finder o alla capillarità di Twitter.
Le reti sociali che innervano il web di rapporti umani anche molto profondi e significativi hanno tessuto una sorte di “veglia” globale di fronte ad un fatto tragico che ha generato un forte impatto emotivo. Foto e video sono stati tempestivamente rielaborati, trasformati dalla sensibilità dei più creativi e diffusi come memi (messaggi significativi che circolano in Rete così definiti da Richard Dawkins) mirati a far riflettere, partecipare, pregare. Era già successo in occasione del disastro nucleare di Fukushima e di altri eventi dolorosi che hanno attraversato l’era dei social network, anche se con sfumature diverse.
Il web è un luogo dove spesso si condividono beni spirituali e si può alimentare la solidarietà umana. Soprattutto in caso di episodi dolorosi e tragici, purtroppo, ne abbiamo la conferma tangibile. I social network si sono rivelati anche collettori di una solidarietà concreta che gradualmente si sta trasformando in una sorta di “coscienza collettiva” in grado di crescere nella sua sensibilità grazie al contributo dei singoli.
Non a caso chi sta svolgendo indagini sull’ attentato ha chiesto ai cittadini di contribuire inviando foto e video realizzati nell’ultimo miglio della maratona. Si tratta di un fenomeno che alcuni hanno definito “subveillance”, “subveglianza” (da sotto) per contrapposizione a sorveglianza (da sopra). La presa di coscienza che il bene comune è frutto del contributo di tutti, anche in questo aspetto mediatico.
Pubblicato il 17 aprile 2013 - Commenti (1)
29 mar
Due velocità. Quella della Chiesa istituzionale, sempre attenta, prudente, che procede con gradualità e senza strappi.
Poi c’è quella di papa Francesco: spontaneo e immediato, ha impresso dai primi istanti una forte accelerazione nei cambiamenti e nella percezione di fedeli e non. Asia news (www.asianews.it) scrive addirittura di un “effetto papa Francesco” che ha portato nuove conversioni al cristianesimo in Corea e in altri paesi del mondo. Di papa Bergoglio ne parlano le persone per strada, al posto di lavoro, al bar riferendosi a lui come se fosse stato eletto anni fa, come se il tempo avesse potuto depositare nel loro intimo una forte empatia e sintonia con lui, e invece è papa solo da 15 giorni.
La scelta di tenere la stessa croce che portava da cardinale, l’inchino verso la folla riunita in piazza per la benedizione, il celebrare il giovedì santo in un carcere minorile, anche solo il portare le scarpe nere al posto delle rosse -che all’istituzione può sembrare un dettaglio poco significativo- hanno avuto come conseguenza una forte accelerazione nella percezione della figura del Papa in tutto il mondo, fenomeno tipico della comunicazione elettronica dove la potenza del simbolo crea in brevissimo tempo un forte impatto emotivo. L’accelerazione, impressa soprattutto dall’elettronica, è una cifra che segna in maniera significativa la vita quotidiana dell’uomo odierno e papa Bergoglio sembra esserne profondamente consapevole.
C’è un’altra cifra che ci fa accostare le scelte di papa Francesco alla logica del web 2.0: l’accessibilità. Fino ad oggi una delle percezioni più forti nei confronti del Pontefice era la sua inaccessibilità: abita all’ultimo piano di un palazzo imponente, è circondato da un robusto servizio di sicurezza, è quasi impossibile incontrarlo e anche quando lo si vede in pubblico è pressoché impossibile parlargli. Invece Jorge Mario Bergoglio ha chiesto, in questo periodo, di poter abitare a Casa santa Marta accettando di condividere una dimensione comunitaria con altri inquilini. Ha celebrato la sua prima messa domenicale nella parrocchia di S. Anna in Vaticano, ha salutato personalmente i fedeli al termine, ha fatto fermare la jeep in piazza S. Pietro per salutare una famiglia di amici… questa è accessibilità. Oggi sappiamo bene quanto questa parola sia fondamentale per il web ma anche per architettura e urbanistica che devono occuparsi di abbattere il più possibile le barriere fisiche.
Rendere accessibile significa poter incontrare tutti senza escludere nessuno anche chi ha più difficoltà, ha problemi di connessione e di comunicazione. Anche questo potrebbe essere un messaggio chiaro di Francesco, il Papa “accessibile”.
Pubblicato il 29 marzo 2013 - Commenti (1)
12 mar
Si tratta del primo conclave dell’era di Twitter: il 19 aprile 2005 infatti, giorno dell’elezione di Benedetto XVI, il noto sistema di microblogging non era ancora nato. Mai come oggi l’elezione di un Papa ha avuto un contorno così social, così condiviso e planetario, quasi a richiamare l’origine greca del termine “cattolico” che significa “secondo il tutto”, “tutto intero”.
Diventa social anche lo stimolo alla preghiera grazie a trovate originali come “Adotta un cardinale”, una proposta dell’associazione Jugend 2000 attraverso il sito Adoptacardinal.org che consegna all’utente il nome e il breve profilo di un cardinale scelto a caso per il quale pregare durante il conclave.
Grande partecipazione anche Oltreoceano dove il fuso orario mette un po’ in difficoltà sugli orari in cui tener d’occhio il comignolo che svetta sopra la Sistina. Così il sito Popealarm.com si impegna ad avvisare tramite e-mail, social network o sms dell’avvenuta elezione del nuovo papa, ma è anche possibile raggiungere da proprio dispositivo mobile il player multimediale di Radio Vaticana che fornisce in diretta le immagini del tetto più osservato nel mondo .
Si tratta anche del primo conclave al quale sono state dedicate così tante app per cellulari e tablet. Anche nel caso di quelle più serie che informano e invitano alla preghiera la logica è quella ludica che invita a interagire con lo schermo, scorrere finestre, utilizzare il doppio tocco rapido per ingrandire le immagini.
L’eco elettronica del conclave ha messo ancora una volta in evidenza che, anche dentro la Chiesa, il senso di prossimità è cambiato. I Cristiani si sentono in comunione anche attraverso i contatti mediati dall’elettronica, condividono contemporaneamente beni spirituali a migliaia di chilometri di distanza. E di questo cambiamento antropologico, il nuovo papa, dovrà tener conto.
Pubblicato il 12 marzo 2013 - Commenti (0)
04 mar
Il web è spesso popolato da frammenti ad effetto, aforismi nati dalla fantasia dei cybernauti e non firmati. «Nulla è più Presente della tua Assenza» è una frase di origine anonima, indicizzata dai motori di ricerca, che ben racconta l’atmosfera di sospensione vissuta dopo la rinuncia di Benedetto XVI.
Joseph Ratzinger ha accompagnato da Papa per quasi otto anni una Chiesa nata proprio dall’assenza del Cristo. È l’Ascensione che fa crescere gli apostoli, l’assenza fisica del Maestro li spinge a cercarlo nel profondo di se stessi, nei fratelli, nella comunione con gli altri.
La privazione della presenza fisica li abilita all’autonomia, che non è assoluta indipendenza. Il sottrarsi genera più domande, più reazioni e più cambiamenti della presenza. Anche l’assenza digitale ha un suo peso specifico. Il sito www.vatican.va racconta contemporaneamente la privazione del presente e la ricchezza del passato. Si apre con lo stemma della sede vacante, ovvero con un vuoto di documenti, foto e discorsi che quotidianamente hanno popolato il web ma, nel contempo, presenta in home page anche una pubblicazione elettronica sul pontificato di Benedetto XVI. Per la prima volta compare un sussidio elettronico che collega brevi testi foto e documenti, un regalo ai cybernauti al termine del pontificato.
L’account Twitter @Pontifex è sospeso, almeno sino all’elezione del nuovo Papa che deciderà il da farsi, ma al tempo stesso è memoria viva (e i tweet di Benedetto XVI sono tutti in archivio) di una serie di relazioni tessute nella rete in queste poche settimane di presenza sul noto social network. Il vuoto fisico fa risaltare la presenza digitale, quasi come un’ eredità spirituale che connette tutto il mondo in una prossimità impensabile fino a qualche anno fa.
L’ultima consegna di Benedetto XVI per l’anno della fede sarà un dono digitale: l’ostensione televisiva della Sindone il 30 marzo quando, forse, potrebbe già esserci il nuovo Papa. Quasi a dire con le parole di Giovanni il Battista, valide anche nella dimensione digitale: «Egli deve crescere e io invece diminuire».
Pubblicato il 04 marzo 2013 - Commenti (0)
19 feb
Una risposta autorevole è possibile cercarla tra le righe del messaggio che Benedetto XVI ha scritto per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: «Le reti facilitano la condivisione delle risorse spirituali e liturgiche, rendendo le persone in grado di pregare con un rinvigorito senso di prossimità a coloro che professano la loro stessa fede»
Mai, forse, come in questi ultimi giorni si sono moltiplicate in Rete le intenzioni di preghiera per il Papa e la Chiesa, rimbalzando da un capo all’altro del pianeta. La rinuncia del Pontefice ha creato un fortissimo fermento in Internet, un gigantesco “buzz” come dicono gli addetti ai lavori, che per buona parte dei cybernauti si è tradotto in senso di vicinanza e preghiera. Il web ha modificato il senso di prossimità per molti esseri umani, che sentono reale e benefico anche il contatto mediato dall’elettronica. Ancora prima di ogni sito di news e agenzia stampa è stato Twitter a diffondere la notizia nel mondo ed è stato sempre lo stesso sistema di microblogging a raccogliere reazioni e brevi preghiere degli utenti.
La diocesi di Pistoia sta raccogliendo stati d’animo e pensieri dei fedeli tramite l’indirizzo dell’Ufficio comunicazioni sociali per poi stamparli ed eventualmente recapitarli in Vaticano. I frati del Sacro Convento di Assisi, tramite il sito sanfrancesco.org, hanno reso possibile la partecipazione di migliaia di utenti della Rete agli esercizi quaresimali predicati per il Papa e la Curia dal cardinal Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
Internet, data anche la sua natura “intangibile”, si rivela sempre più un mezzo potente per la condivisione di beni spirituali ed un veicolo straordinario per stimolare la preghiera nei fedeli. Attenzione alle equazioni ingenue, però: leggere una bella frase sullo schermo, non equivale automaticamente a pregare…
Pubblicato il 19 febbraio 2013 - Commenti (2)
28 gen
ThinkStock
Inconscio connettivo? È un’ipotesi sostenuta da tempo dal noto massmediologo canadese Derrick De Kerckhove in relazione ai moderni mezzi elettronici, probabilmente ricalcando la teoria proposta dallo psichiatra svizzero Jung secondo la quale esiste un inconscio collettivo che genera gli archetipi di ogni cultura.
Per dirla in termini comprensibili, esistono nelle varie culture e popoli del mondo alcune immagini psichiche innate che incontriamo indipendentemente dalla collocazione geografica e dalla storia specifica di quella etnia: l’idea del “vecchio saggio”, ad esempio, o dell’anima.
In maniera analoga, sostiene De Kerckhove, comunicare attraverso i social media genera una sorta di inconscio che connette gli utenti della Rete. Una risorsa straordinaria ma anche una potenziale fonte di rischi molto seri.
È quanto si evince anche dal messaggio del Papa per la 47ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dal titolo “Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione” (leggi il messaggio).
Ancora prima di essere spazio per evangelizzare le reti sociali sono un tessuto che aiuta a sviluppare la relazione tra uomini e questa non può perdere le caratteristiche di autenticità e di rispetto della verità che ciascuno porta con sé, come sottolinea anche Benedetto XVI nel suo messaggio. È importante essere consapevoli che oggi anche i web contribuisce a formare la personalità e l’inconscio delle nuove generazioni.
De Kerckhove ha provato a spiegare nel passato questa esigenza di autenticità e di umanizzazione con la storia di Pinocchio. Ai tempi di Collodi vi era un esodo consistente di lavoratori che dalla Toscana si spostavano nel Nord Italia per andare a lavorare in fabbrica dove, spesso, si disumanizzavano.
Una volta tornati a casa faticavano a ricuperare la loro identità. Ma a questo punto entrava in gioco la trasformazione, la metafora del ventre delle balena, e l’uomo tornava ad essere pienamente uomo superando l’influenza della macchina. Oggi il rapporto non è solo con le macchine ma con l’intera Rete che spesso dà alle persone la percezione di esistere solo quando si sentono connesse.
Pubblicato il 28 gennaio 2013 - Commenti (1)
08 gen
Janell Burley Hofmann con suo figlio Gregory.
Un contratto per l’uso del cellulare? Non ci sarebbe nulla di strano se ad averlo stipulato non fosse stata una madre, nota blogger statunitense, con il figlio di 13 anni.
Janell Burley Hofmann, collaboratrice dell’Huffington Post, ha fatto trovare al figlio Gregory sotto l’albero di Natale un prezioso cellulare corredato da 18 regole d’uso.
L’originale proposta, com’era prevedibile, ha scatenato in rete un vivace dibattito sull’età più opportuna per possedere un cellulare e sul tipo di accordo messo in atto dalla madre nei confronti del figlio.
Da un lato c’è da sottolineare lo sforzo positivo nel consegnare regole ben precise nell’utilizzo del dispositivo e nelle responsabilità che ne derivano.
Il fatto che siano codificate precisamente, scritte e sottoscritte aiuta ad avere un quadro di riferimento stabile al quale rifarsi ogniqualvolta possa sorgere un problema.
Se il preadolescente sta ancora esplorando l’ambiente intorno a sé in cerca di confini l’adulto lo può aiutare segnalando chiaramente dei limiti da non oltrepassare o sui quali, almeno, discutere.
Come sottolinea Janell «molte delle regole elencate non si applicano solo al cellulare ma alla vita».
Mi permetto, però, di fare qualche rilievo sull’intera operazione.
Janell vive a Cape Code, nel Massachusetts, con il marito e altri quattro figli oltre a Greg. Perché l’altro genitore non ha stipulato il contratto ma viene solo nominato come riferimento in alcune regole?
E il resto della famiglia dov’è? Gregory, nel patto, figura come figlio unico. È importante che in questo tipo di accordi il mondo adulto si dimostri compatto e solido, dando vita a quella potente risorsa che chiamiamo “alleanza educativa” e che il contesto di rifermento sia sempre comunitario, altrimenti il contratto rischia di legare un rapporto personale basato sul dare-avere.
Perché consegnare ad un tredicenne, come primo smartphone, un iPhone, terminale di un certo valore commerciale che solitamente è utilizzato dal mondo adulto?
Non sarebbe stato più educativo partire da un apparato meno blasonato e performante anche per dare un’idea di progressione nell’accesso alla tecnologia e agli strumenti tipici del mondo adulto?
In ogni caso il tentativo è lodevole. Visto che nei dispositivi di ultima generazione non esiste più il libretto delle istruzioni ci auguriamo che qualcuno inizi a consegnare ai figli un foglietto con le istruzioni per l’uso consapevole e ragionato.
Le 18 regole nel blog di Janell Burley Hofman
Le regole tradotte in Italiano
Pubblicato il 08 gennaio 2013 - Commenti (1)
23 dic
Il vescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, ha utilizzato venerdì 21 dicembre un “hangout” di Google (un collegamento video con più sedi contemporaneamente) per rispondere, tramite il sito di Quotidiano piemontese, a domande giunte in diretta attraverso Twitter e Facebook. È la prima volta in Italia che un vescovo utilizza questo strumento a scopi pastorali e, ovviamente, la notizia ha avuto una certa risonanza nel web. I cybernauti torinesi non si sono tirati indietro di fronte all’opportunità offerta loro, ponendo anche domande impegnative scottanti come quella sull’accoglienza della comunità somala che è in città o la richiesta giunta da un tale Luca, musulmano, che chiede come possano convivere appartenenti a religioni diverse:
Chiesa ed elettronica, un’abbinata che sembra avere un buon successo in Rete, visto che in una quindicina di giorni dall’apertura dell’account Twitter i followers del papa hanno superato abbondantemente i due milioni. La rilevanza della Chiesa cattolica sul web è confermata anche dalle notizie che giungono da Oriente: sembra che in Cina la prima estensione dei domini internet, secondo il nuovo standard internazionale che entrerà in vigore al posto delle abbreviazioni “it”, “org”, “com” e comprenderà vocaboli estesi, sarà 天主教 che significa, per l’appunto, “cattolico”.
Non si tratta di una rincorsa all’ultima novità, per dimostrare di essere moderni e aggiornati, ma di un saper stare in mezzo alla gente con gli strumenti e linguaggi di uso comune. L’apertura dell’account Twitter di Benedetto XVI ha suscitato una forte reazione ironica da parte degli iscritti al sistema di microblogging da 140 caratteri. In realtà in molte delle domande ironiche pubblicate su Twitter potremmo leggere una richiesta di attenzione, una sorta di provocazione graffiante da parte di chi, magari, è stato deluso o si è allontanato da un’iniziale contatto con la Chiesa. Non è un caso che l’idea delle #Twittomelie, provocazioni sulla fede da 140 lettere alla volta lanciate in Rete dal vescovo di Soissons, monsignore Hervé Giraud, abbia interessato e stimolato tanti utenti, facendo loro percepire una Chiesa profondamente legata al Vangelo, non giudicante, in ascolto dei problemi e delle esigenze quotidiane.
Perchè meravigliarsi di questo rapido contatto tra l'elettronica e la religione? La stessa domanda se l'è posta l'arcivescovo primate della Chiesa anglicana Rowan Williams che intervenendo al programma della BBC “Pause for Thought” ha dichiarato la sua sorpresa nel constatare una grandissima attenzione dei media per ogni vescovo che decide di inviare un messaggio natalizio via Twitter o per il papa che apre il suo account.
Probabilmente il cortocircuito tra web e Chiesa, tra le domande affidate ai motori di ricerca e quelle profonde della fede può aiutarci a percepire che non ci sono due dimensioni separate, quella del mondo e quella della vita cristiana ma che, proprio grazie all’incarnazione di Cristo che celebriamo nel Natale, la fede dei cristiani esprime e anima le vicende di questa Terra.
Pubblicato il 23 dicembre 2012 - Commenti (0)
19 nov
Questa vicenda ha inizio nel gennaio 2007 quando viene scoperto uno scaricamento illegale di 1147 files musicali dall’indirizzo Ip (una serie di quattro numeri che identifica la connessione da Internet di un singola macchina) di una coppia tedesca.
La multa inflitta dal giudice locale ai due coniugi era stata di 3000 Euro per una quindicina di tracce violate e dei 2380 Euro di spese processuali.
La coppia si è rifiutata di pagare, spiegando che a scaricare i files era stato il loro figlio tredicenne che si erano premurati di ammonire in modo adeguato a non commettere azioni illegali durante la navigazione in Internet. I due coniugi tedeschi si sono detti assolutamente ignari di ciò che il loro figlio ha fatto e fa tutt’ora in Rete, dichiarandosi anche poco adeguati ad un controllo preciso delle azioni del giovane cybernauta.
Questa motivazione non ha convinto i giudici di primo e secondo grado che li hanno comunque condannati, ma è stata alquanto efficace con la corte federale che il 15 novembre 2012 li ha assolti in terzo grado di giudizio ritenendo che la loro ammonizione a non scaricare files in modo illegale sia stata una vera e propria azione di controllo parentale sulle azioni del figlio.
La sentenza, anche se emessa da un tribunale d’Oltralpe, apre un precedente che preoccupa.
Come è possibile un tale scarico di responsabilità da parte di una coppia di adulti?
Sarebbe come affermare che basti avvertire un ragazzo tredicenne di non imbrattare muri per liberarsi da ogni implicazione qualora questo dovesse succedere.
Mi capita sempre più spesso parlando ad assemblee di genitori e figli di avvertire mugugni e commenti sussurrati quando si tocca il tema della legalità e dei files scaricati in modo illecito dalla rete.
«Ma se lo fanno tutti!» «Non sarà mica un problema scaricare la musica gratis, con tutto quello che guadagnano le case discografiche…» obiettano gli adulti di fronte ai loro figli. Come si può formare ed educare i ragazzi alla legalità se i loro padri sono i primi a giustificare e magari a mettere in atto comportamenti illeciti?
Gentile coppia tedesca assolta dalla Corte federale, visto che non lo hanno fatto i giudici mi permetto di consigliarvi un buon corso sulla navigazione in Rete e sulle norme legali che la regolano. Oltre, ovviamente, ad un rapporto più responsabile nei confronti di vostro figlio.
Pubblicato il 19 novembre 2012 - Commenti (0)
05 nov
Una ragazza davanti i fiori sul luogo dove Federica, la ragazza di 16 anni è stata trovata morta sul lungolago di Anguillara in località Vigna di Valle (Roma) (foto Ansa).
La tragica vicenda di Federica, la ragazza trovata morta la mattina del 1 novembre sulle rive del lago di Bracciano, ha riportato a galla il tema dei profili nei social media.
Da un lato va riconosciuto che Facebook è uno luogo ordinario all’interno del quale si estende la socialità dei ragazzi che, tra l’altro, sono consapevoli di raccontarsi in pubblico con foto e messaggi.
E’ importante che gli adolescenti possano esprimersi anche all’interno del web, come è altrettanto importante che possano essere accompagnati ed educati nel farlo, per avere il senso del limite, del pubblico e del privato, della riservatezza e dei rischi che possono correre.
Dall’altro lato c’è il diritto di cronaca che si intreccia con la curiosità quasi morbosa di scavare nella vita delle persone partendo da ciò che è più accessibile, ovvero da quanto hanno pubblicato nei loro profili personali in Rete.
La carta di Treviso (5 ottobre 1990) tutela la riservatezza dei minori e la considera come prioritaria sul diritto di cronaca.
Qualche ora dopo la morte le foto del profilo Facebook di Federica comparivano già in album confezionati al volo da varie testate web, dietro la giustificazione che, comunque, si trattava di materiale pubblico.
Peccato che quelle immagini abbiano dato origine anche alle più svariate interpretazioni dei media, distorcendo la loro vera natura e significato. Per ammissione dello stesso zio della ragazza quelle foto sono in realtà un regalo della sua compagna, fotografa professionista, un gesto affettuoso di una persona a lei vicina.
Un book scattato quasi per gioco che ha dato modo a questa giovane di Anguillara Sabazia di potersi raccontare nella bellezza dei suoi 16 anni, nulla di più.
Nulla che possa giustificare le illazioni insinuate stampa e web.
In occasione degli incontri che scuole e parrocchie organizzano con i giovani sul tema dei social network raccomando sempre agli adolescenti di proteggere il più possibile i loro dati in Rete.
Federica lo aveva fatto saggiamente, evitando di inserire il suo vero cognome. Le uniche informazioni che non sono protette, in questo momento, sono le belle foto scattate dalla zia e un messaggio accanto al nome che rivela l’amore per un ragazzo.
Sufficienti comunque a scatenare la fantasia di chi si improvvisa investigatore e non si fa scrupolo di trarre conclusioni affrettate.
In Facebook, dopo morti violente o improvvise, si assiste a fenomeni che sollevano domande e questioni etiche non da poco: da chi continua a scrivere sul profilo personale al posto della persona defunta al sorgere di pagine pubbliche che amplificano le vicende con esiti non sempre veritieri e positivi.
Forse sarà bene riflettere un po’ di più su come gestire la informazioni dei social network in alcune situazioni limite e, in ogni caso, continuare ad educare i più giovani ad abitare un luogo che ormai appartiene sempre più alla loro socialità quotidiana.
Pubblicato il 05 novembre 2012 - Commenti (0)
25 ott
«Lì non ci sono vie di fuga: l’Anima si trova di fronte all’evidenza della necessità di scegliere la via dell’amore».
Sembrano parole tratte dal diario di un mistico cristiano e invece si tratta della frase pubblicata da un cantante rock nel suo blog. Francesco Lorenzi, voce solista del gruppo “The sun” si riferisce all’esperienza del secondo viaggio della band in Terra Santa con tappe a Taybeh, Betlemme, Nablus e Nazareth.
I “The sun”, che hanno all’attivo due album con la Sony music, hanno accolto l’invito di don Mario Cornioli, il pastore della parrocchia di Betjala (Betlemme), a suonare sia sul palco che all’interno di scuole, strutture di ospitalità per anziani come la Società antoniana e del centro “Hogar niño Dios” tra i bambini disabili.
La musica del loro ultimo disco può risultare graffiante e delicata nel contempo, ardita nell’accarezzare i tempi più intimi della fede cristiana come la Risurrezione e l’amore per Dio. Da”Onda perfetta”, il brano di apertura che socchiude lo sguardo sul segreto della felicità quotidiana a “La leggenda” che rappresenta un omaggio a chi fa dono agli altri della propria vita, le 13 canzoni tracciano un percorso di “Luce” (così si intitola l’album) che intreccia il percorso personale della band con gli incontri significativi che hanno lasciato traccia nel loro profondo.
Con il brano “Betlemme” si apre e chiude un percorso umano e artistico nato proprio da un precedente viaggio in Terra Santa, un modo per restituire a questa terra e ai suoi abitanti il dono che ha animato in filigrana la nascita di questo disco.
Complice la birra analcolica prodotta in loco, da otto anni nella cittadina di Taybeh (Ephraim) si compie un piccolo “prodigio”: cristiani, ebrei e musulmani si incontrano in fraternità grazie al collante costituito da musica e cibo. La birra di Taybeh supera le barriere di religione e appartenenza e permette alla comunità locale un sostentamento dignitoso, arrivando addirittura a generare utili per garantire servizi sociali. Ai “The Sun” è stato lasciato il compito di accompagnare con la musica la straordinaria carica umana che si respira in questo evento.
Pubblicato il 25 ottobre 2012 - Commenti (0)
10 ott
Ho ricevuto decine di e-mail da parte di generosi volontari che si erano messi a servizio di siti parrocchiali e che, con la speranza di racimolare qualche spicciolo a sostegno del web comunitario, avevano spalancato le porte ad inserzionisti pubblicitari che avevano riservato più di qualche sorpresa.
Sorprese amare, nella maggioranza dei casi, perché non è facile capire chi nel mondo del web advertising si presenti come lupo travestito da agnello. Talvolta il webmaster ha accettato il contratto online senza leggere tutte le clausole, oppure non si è accorto che l’innocente box colorato inserito nel sito si è trasformato in un invito, sempre più ammiccante, al gioco d’azzardo online.
Qualche altro, invece, per evitare di spendere 20 o 30 Euro all’anno di hosting ha pubblicato il sito di un’associazione, di un oratorio o di una parrocchia all’interno di servizi che apparentemente sembrano gratuiti, ma poi inseriscono nella parte alta della pagina o in fastidiosi pop-up pubblicità che poco si adattano ai contenuti.
Tra le varie soluzioni che consentono di evitare inserti pubblicitari poco opportuni si fa largo una proposta che concilia etica e advertising. Il nome stesso lo indica: si tratta di Ad-Etic, un network che consente la raccolta pubblicitaria online e a sostegno dei siti cattolici secondo criteri di coerenza con i valori espressi all’interno dei siti stessi.
La proposta nasce all’interno della rete Aleteia (www.aleteia.org) uno strumento di evangelizzazione attraverso domande e risposte sulla religione cattolica ed è sostenuta dalla Fondazione per l’evangelizzazione attraverso i media.
I proventi della raccolta pubblicitaria vanno a sostegno del sito che ospita i banner ma anche, in parte, a supporto di progetti di carità sotto la supervisione di un comitato etico internazionale (maggiori informazioni su www.adethic.net).
In tempo di crisi economica e con lo sguardo puntato sulla nuova evangelizzazione, non è poco…
Pubblicato il 10 ottobre 2012 - Commenti (1)
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