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L’11 settembre 2001 non esistevano Facebook e Twitter, tantomeno Youtube nato nel febbraio 2005. La gravità dell’attentato veniva restituita in tempo reale dalle immagini della tv che già dal primo pomeriggio avevano catalizzato l’attenzione del mondo intero.
Quanto è successo durante la maratona di Boston del 15 aprile scorso è rimbalzato in pochi secondi in ogni angolo del pianeta grazie alla capillarità dei social media generando un potentissimo “buzz”, un rumore di fondo che si è trasformato ben presto in condivisione, partecipazione interattiva, per qualcuno anche in preghiera online. #prayforboston (prega per Boston) è stato uno degli hastag più popolari nelle ore successive all’attentato. Analogamente a quanto successo in occasione del terremoto di Haiti si è iniziato a cercare i dispersi grazie a servizi come Person finder o alla capillarità di Twitter.
Le reti sociali che innervano il web di rapporti umani anche molto profondi e significativi hanno tessuto una sorte di “veglia” globale di fronte ad un fatto tragico che ha generato un forte impatto emotivo. Foto e video sono stati tempestivamente rielaborati, trasformati dalla sensibilità dei più creativi e diffusi come memi (messaggi significativi che circolano in Rete così definiti da Richard Dawkins) mirati a far riflettere, partecipare, pregare. Era già successo in occasione del disastro nucleare di Fukushima e di altri eventi dolorosi che hanno attraversato l’era dei social network, anche se con sfumature diverse.
Il web è un luogo dove spesso si condividono beni spirituali e si può alimentare la solidarietà umana. Soprattutto in caso di episodi dolorosi e tragici, purtroppo, ne abbiamo la conferma tangibile. I social network si sono rivelati anche collettori di una solidarietà concreta che gradualmente si sta trasformando in una sorta di “coscienza collettiva” in grado di crescere nella sua sensibilità grazie al contributo dei singoli.
Non a caso chi sta svolgendo indagini sull’ attentato ha chiesto ai cittadini di contribuire inviando foto e video realizzati nell’ultimo miglio della maratona. Si tratta di un fenomeno che alcuni hanno definito “subveillance”, “subveglianza” (da sotto) per contrapposizione a sorveglianza (da sopra). La presa di coscienza che il bene comune è frutto del contributo di tutti, anche in questo aspetto mediatico.
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17 aprile 2013 - Commenti
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