22/02/2013
"S.Agostino" di Philippe de Champaigne, 1645-50.
L'esordio pubblico di Benedetto XVI come teologo avviene nel segno di Agostino. La città di Dio è uno dei testi più celebri della teologia occidentale. Siamo in un momento di passaggio: un mondo glorioso, Roma, sta finendo, un altro nebuloso, l’Europa, muove i suoi primi passi. Agostino prende spunto dal sacco di Roma del 410 d.C. per scrivere una meditazione sulla storia biblica e pagana, sull’Impero e la Chiesa, radice riconosciuta tuttora della filosofia della storia fino al Novecento. Per Agostino il senso della civiltà sta nell’amore. Esso si declina in due modi: uno egoistico, terreno, che trova espressione nel dominio mondano, l'altro altruistico, celeste, che trova sua espressione nella carità e nell'assenza di dominio.
Nel 1954 il ventisettenne Ratzinger scrive la sua tesi di dottorato Casa e popolo di Dio in Agostino. L'esordio come papa avviene nel segno di S. Giovanni, l'ispiratore di Agostino. Deus Caritas est è la prima enciclica di Benedetto XVI: "Dio è amore". L'esordio come profeta avviene nel 2013, al momento della sua rinuncia. Le dimissioni di Ratzinger da Benedetto XVI sprigiona una carica simbolica inaudita. Ha appena dato alle stampe la conclusione della sua trilogia su Gesù.
La città di Dio contiene una visione mistica della politica. Come l'amore si vede nelle opere, ma la sua natura rimane sempre misteriosa, così le due città non sono individuabili in un'istituzione. Gli imperi antichi non sono la città dell’uomo, come la Chiesa non rappresenta la Città di Dio. Questa è la tesi più scandalosa di Agostino. Città di Dio e Città dell’Uomo, Amore divino del prossimo e Amore umano e sopraffazione sono intrecciati per essere distinti soltanto alle fine dei Tempi. Esempi e rappresentanti dell'una o dell'altra possono trovarsi indifferentemente nella Chiesa o nell'Impero.
Papa Benedetto XVI (Ansa).
La Chiesa che ha in mente
Benedetto XVI trasfigura la potenza di Roma nella potenza debole
dell'amore biblico. Egli è agostiniano. Giovanni Paolo II aveva imboccato la via clamorosa della Chiesa che chiede perdono per i suoi errori. Dal Concilio Vaticano II in poi la Chiesa capisce di poter essere forte, anche se fallibile:
condivide la democrazia politicamente, il dialogo filosoficamente,
sapendo che nel primo caso essa si deve incardinare nel servizio del
bene comune basato sui valori cristiani, nel secondo caso nella ricerca
di quei comuni fondamenti umani che essa condivide con altre religioni,
fatte salve le differenze non mediabili.
Richiesta del perdono e dialogo sono il volto nuovo della Chiesa basato sull’esempio di Cristo e
su una lettura mistica e profetica, non mondana, di Agostino.
Benedetto XVI non si è nascosto e non ha nascosto la Chiesa al mondo.
Giovanni Paolo II aveva anche fisicamente portato sul proscenio
mediatico la debolezza della vecchiaia. Mostrò a tutti il suo
deterioramento. Rese il dolore spettacolare, indimenticabili le
sue ultime, seppur trascinate, gesta, eroico il suo spirito di servizio
indefesso. Benedetto XVI, salito al soglio pontificio, già molto avanti
con l’età, sceglie una via altrettanto spettacolare e rara: le
dimissioni. Fino a qualche decennio fa vigeva una doppia
identificazione: fra Chiesa e Città di Dio, fra la persona e
la carica.
Con il suo gesto Benedetto XVI le rompe entrambe, introducendo una distinzione. La Chiesa non è infallibile, come non lo è la figura del Papa. Non
è un caso che egli abbia firmato la sua trilogia su Gesù con il doppio
nome di Benedetto XVI e Joseph Ratzinger. Il Papa ha detto: sono umano,
soltanto umano. E ha affermato con Luca: "Così anche voi, quando avrete
fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".
Federico Leonardi