28/12/2012
Questa fotografia e quella di copertina (con frère Alois in primo piano) sono dell'agenzia Reuters.
Le parrocchie romane si sono preparate. In ogni Messa i parroci non hanno dimenticato di chiedere alle famiglie di accogliere le migliaia di giovani attesi nella capitale dal 28 dicembre al 2 gennaio per il Pellegrinaggio di fiducia sulla terra, giorni di incontri e preghiere che i ragazzi di Taizé portano nel cuore delle città. Fondata una settantina d’anni fa da frère Roger, la comunità conta oggi circa cento fratelli, sia cattolici che di differenti origini evangeliche, provenienti da 30 Paesi diversi.
«Siamo contenti di far tappa a Roma, 25 anni dopo l’ultima volta», spiega frère Alois, 58 anni, successore di frère Roger alla guida della comunità di Taizé. «Nell’Anno della fede, tornare a Roma, alle fonti della fede e della carità, è per noi motivo di gioia. Avremo la possibilità di andare dal Papa, a San Pietro,di pregare in questi cinque giorni nelle basiliche, nelle parrocchie che, con le famiglie, accolgono questi giovani».
– Nel libro appena pubblicato per la Emi, Pellegrini di fiducia, il cammino di comunione seguìto a Taizé, lei dice che la fede comporta il rischio della fiducia. Cosa intende?
«Oggi la fede è un rischio per i giovani perché non si seguono automaticamente le tradizioni, come si faceva un tempo. Adesso vogliono vivere una fede personale, con una propria convinzione . Questo è bello, ma anche complicato perché non accettano facilmente tutta la tradizione della Chiesa. Sentono che la loro scelta implica un impegno verso Dio e un cambio nello stile di vita, ma è una via che vogliono percorrere personalmente.Dobbiamo ascoltare molto i giovani per aiutarli nel cammino della fede. Dobbiamo far sì che trovino la fonte della fiducia in Dio. Che è poi il tema dell’incontro di Roma e anche di tutto l’anno 2013».
Foto Reuters.
– Ma i giovani hanno voglia di parlare, di farsi ascoltare?
«Direi di sì. A Taizé dopo la preghiera della sera restiamo in chiesa e i
giovani possono venire e parlare personalmente con un fratello.Vengono
in molti per condividere una gioia, una tristezza, una domanda. I
giovani non trovano facilmente motivi di fiducia nella società. Anche le
situazioni nelle famiglie spesso sono difficili e dunque dobbiamo
creare nella Chiesa questa fiducia e vivere questo ascolto. Credo che
bisognerebbe sviluppare un ministero di ascolto, diverso dalla
confessione, nelle nostre chiese».
– Di questo si è parlato anche al recente Sinodo al quale è stato invitato?
«Se n’è discusso. Il Sinodo è stato un avvenimento molto importante di
condivisione,innanzitutto, tra i vescovi e tra questi e gli osservatori e
gli invitati. È stato un Sinodo pastorale e tutti i vescovi che ho
sentito sono molto impegnati sul fronte di una nuova evangelizzazione e
sul tema dei giovani. Alcune questioni sono state molto citate. come
l’importanza della relazione personale con Dio. Dobbiamo cercare noi
prima e poi aiutare i giovani a vivere in rapporto diretto con Dio. È
stato discusso pure il tema della conversione:personale, ma anche
conversione di tutta la Chiesa. Per me è stata un’esperienza della
cattolicità della Chiesa».
Foto Reuters.
– In continuità anche con il Concilio?
«Il Sinodo è stato come una continuità del concilio Vaticano II.
Anche l’aspetto ecumenico era presente specialmente con la presenza del
patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, e con l’anglicano
Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury. Ci sono stati momenti di
ecumenismo durante questo Sinodo, così come era avvenuto nel Concilio.
Per noi il Vaticano II è molto importante. Si può dire che, senza, Taizé
non sarebbe com’è oggi».
– Taizé ha avuto molti amici, a cominciare da Giovanni XXIII. E oggi?
«Sono numerosi, famosi e meno famosi.Sono molto contento, onorato e
aiutato nel mio ministero da questi legami. Vorrei ricordare
l’accoglienza di Benedetto XVI che mi riceve in udienza privata ogni
anno. Questo è stato un sostegno molto forte e adesso andare con i
giovani a Roma significa anche dire al Papa che appoggiamo il suo
ministero di unità. E poi, dopo Roma, andremo a Istanbul per celebrare
la festa dell’Epifania con il patriarca Bartolomeo e con tutti i
credenti lì. Abbiamo tante amicizie in tutto il mondo».
Frère Alois. Foto Afp/Getty Images.
– I pilastri della spiritualità di Taizé sono la preghiera, il servizio ai poveri, la riconciliazione. Concretamente cosa fate?
«Sulla riconciliazione posso segnalare un esempio recente: in novembre
abbiamo fatto un incontro di giovani, una tappa del pellegrinaggio di
fiducia, in Ruanda, a Kigali, e8.500 giovani di 25 Paesi africani sono
stati accolti in 4 mila famiglie. Questo Paese ha bisogno di
riconciliazione e l’accoglienza è stata un modo concreto di viverla. Noi
siamo venuti dall’Europa non per portare qualcosa,ma per essere
testimoni di questa ricerca di riconciliazione.E quando ho visto questa
accoglienza mi sono detto che questa è una chiamata anche per noi in
Europa a continuare questa ricerca soprattutto laddove non sembra
possibile. Dobbiamo credere che il Cristo è venuto per riconciliare
tutta l’umanità».
– E sul servizio ai poveri?
«Vediamo che ci sono molti giovani che vivono situazioni materiali difficili. Quando un giovane, o una persona più anziana, non
ha lavoro, si trova in una difficoltà materiale,ma c’è anche sempre
una dimensione umana. Difficoltà materiale e dignità umana vanno tenute
insieme. Vorremmo incoraggiare tutti i giovani che vengono e
sensibilizzarli a vivere una solidarietà più grande e quotidiana quando
tornano nelle loro case. Per questo ci sforziamo di fare gesti concreti.
A Taizé abbiamo accolto famiglie in difficoltà che vivono ormai da anni
nel nostro villaggio. Ultimamente abbiamo accolto una famiglia
cristiana orientale: la madre, che è dovuta fuggire dall’Irak, il padre
egiziano e la loro piccola bambina. Già durante la Seconda guerra
mondiale frère Roger aveva accolto rifugiati.In seguito aveva fatto sì
che famiglie povere si stabilissero nella zona».
– Lei guida la comunità dal 2005, dalla morte di frère Roger. Cos’è cambiato da allora?
«Il cambiamento maggiore è che frère Roger non è più con noi e noi
ancora oggi sentiamola mancanza del nostro fondatore. Noi però
continuiamo nella linea che lui ha mostrato con il dono della sua vita e
siamo impressionati che i giovani continuano a venire a Taizé. In
questo non siamo cambiati. Esteriormente,invece, in questi anni abbiamo
allargato ancora di più il nostro pellegrinaggio di fiducia agli altri
continenti: abbiamo avuto incontri di giovani in India, Bolivia,Kenya,
Cile e Filippine. Questo è un cambio esteriore, ma il cuore della nostra
vocazione di fiducia, di riconciliazione non cambia».
– Quale augurio si sente di fare ai giovani per il nuovo anno?
«Auguro che i giovani possano scoprire la fiducia in Dio che dà la gioia
e il senso alla vitae aiuta ad affrontare le domande difficili:perché
la sofferenza? Perché la morte? La fiducia in Dio aiuta ad attraversare
queste domande difficili e a vivere in pienezza la propria esistenza».
Annachiara Valle