13/10/2012
Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose.
Il Vaticano II contiene nella sua denominazione ufficiale l’aggettivo “ecumenico”, secondo la prassi plurisecolare della Chiesa cattolica di contraddistinguere con quel termine i sinodi generali di tutti i vescovi del mondo. Ma “ecumenico”, nel senso di rispetto nei confronti dei cristiani delle altre confessioni e aperto al dialogo con loro, il Concilio lo è stato sia nella sua preparazione che nello svolgimento: basti pensare allapresenza di osservatori non cattolici a tutte le sessioni dell’intensa attività del Segretariato per l’unità istituito da papa Giovanni già durante la fase preparatoria.
Ed “ecumenico” il Concilio lo è stato anche, forse soprattutto, per il cambio di paradigma nel modo di intendere la ricerca dell’unità visibile dei cristiani: l’ecumenismo cessava di essere l’aspirazione utopicao il compito specialistico di qualche appassionato. Secondo le parole di Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint «l’ecumenismo, il movimento a favore dell’unità dei cristiani, non è soltanto una qualche appendice, che s’aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo. Così credeva nell’unità della Chiesa Giovanni XXIII e così egli guardava all’unità di tutti i cristiani».
Due rappresentanti di Chiese protestanti per le vie di Roma. Al Concilio Vaticano II parteciparono delegazioni luterane, anglicane e ortodosse.
Questa convinzione di “appartenenza organica” dell’ecumenismo alla
vita della Chiesa ha progressivamente operato un grande mutamento nei
cristiani comuni, passati da una situazione di ignoranza degli altri –
se non, a volte, di disprezzo e di condanna – a una consapevolezza di
doversi“convertire” tutti a una maggiore fedeltà alla volontà del
Signore espressa nella preghiera al Padre durante l’ultima cena:
«Siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). Se diverse
Chiese protestanti e ortodosse avevano già vissuto e realizzato un
cammino ecumenico, per i cattolici è stato il Concilio a guidarli con
sapienza e spirito evangelico dalla negazione alla possibilità concreta
dell’ecumenismo.
Alcune delle speranze accese al momento del Concilio sono andate frustrate. Avendo iniziato la vicenda della Comunità monastica di Bose in quegli anni, posso testimoniare poi quanto ci si attendesse che le Chiese arrivassero a una comunione più forte di quella attuata. Eppure non hanno ancora esauritola loro spinta profetica le parole del Decreto conciliare Unitatis redintegratio:
«Coloro che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il
Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta,
con la Chiesa cattolica. Non v’è dubbio che, per le divergenze che in
vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della
dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della
Chiesa, impedimenti non pochi, e talora gravi, si oppongono alla piena
comunione ecclesiastica, al superamento dei quali tende appunto il
movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel Battesimo dalla
fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del
nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente
riconosciuti quali fratelli nel Signore».
Sta a noi, mentre celebriamo il cinquantesimo anniversario di quella
“novella Pentecoste”, far sì che queste parole si traducano in gesti
quotidiani alimentati dalla preghiera e dalla conversione all’unico
Signore della Chiesa che tutti professiamo come «una, santa, cattolica e
apostolica».
Enzo Bianchi