11/10/2012
La vicenda del beato Francesco Faà di Bruno rappresenta un caso eccezionale per la molteplicità delle funzioni e delle attività da lui svolte nell’ottica della fede.
Nato il 29 marzo 1825 ad Alessandria, ultimo di dodici figli della famiglia dei Faà, marchesi di Bruno (un paese dell’Astigiano), studiò prima nel collegio degli Scolopi a Novi Ligure e poi all’Accademia Militare di Torino; successivamente prese parte alle guerre del 1848 e 1849, raggiungendo il grado di capitano e ottenendo una menzione onorevole nella battaglia di Novara.
Poiché Vittorio Emanuele II era intenzionato ad affidargli l’educazione dei figli Umberto e Amedeo, per essere all’altezza del compito egli si diplomò a Parigi in scienze matematiche e durante quel periodo partecipò attivamente alla vita della parrocchia di San Sulpizio, dove entrò in contatto con vari esponenti del cattolicesimo sociale francese. Tornò a Torino con una collezione di strumenti di fisica sconosciuti in Italia e poiché l’ostilità di alcuni consiglieri del re, legati alla Massoneria, aveva bloccato la sua nomina di precettore dei principini, si dedicò a tempo pieno alla ricerca scientifica e all’apostolato.
Dimessosi dall’esercito il 23 marzo 1853, tornò a Parigi e tre anni dopo diede alle stampe la sua tesi di laurea, prima di una serie di opere che dal campo scientifico si estesero a quello ascetico, religioso e musicale. Al contrario di certi cattolici che davanti al progresso della scienza esitavano a prendere posizione, lui agì da protagonista: conoscendo, oltre il latino, anche il francese, l’inglese e il tedesco, viaggiava in tutta Europa. Le sue opere lo imposero ben presto all’attenzione degli studiosi a livello europeo: per lui la scienza era una via che porta a Dio ed uno strumento a servizio dell’umanità.
Tuttavia, la sua scelta di vita fu diversa e lo vediamo entrare a far parte dello straordinario gruppo dei cosiddetti “santi sociali” che nella Torino di allora fecero una vera rivoluzione a servizio degli ultimi: il Cafasso (il “prete della forca”) e la marchesa Giulia di Barolo tra i detenuti e le detenute; il marchese di Barolo, Don Bosco e il Murialdo tra i fanciulli e i giovani; il Cottolengo accanto ai malati che nessuno era in grado di curare e, più tardi, Anna Michelotti per l’assistenza domiciliare dei malati poveri; Federico Albert e Clemente Marchisio, due parroci di campagna a totale servizio della loro gente. E ci limitiamo ai nomi più noti. La vicenda di Faà di Bruno si presenta ancora oggi di grande attualità, avendo egli saputo coniugare alla luce del Vangelo scienza e fede, nobiltà e impegno sociale.
Nel 1857 fu incaricato dell’insegnamento di Analisi Superiore all’università torinese, ma come straordinario e tale rimase fino alla morte per l’opposizione ideologica degli anticlericali. Eppure aveva dimostrato il suo valore, inventando un barometro a mercurio, l’ellipsigrafo, uno svegliarino elettrico e uno scrittoio per ciechi (sua sorella Maria era una non vedente). Fece anche una breve esperienza politica candidandosi, nelle elezioni di quello stesso 1857, per il Partito Cattolico Conservatore, ma fu sconfitto al ballottaggio. Due anni dopo veniva nominato dal Ministro della Guerra professore di topografia e di trigonometria e, nel 1864, di geodesia presso la Scuola di Applicazione dello Stato Maggiore.
Nel frattempo però, da cattolico impegnato, svolgeva una intensa attività caritativa. Torino era allora interessata da una intensa migrazione: la fame spingeva la gente verso la città per trovare lavoro nelle nascenti industrie, anche se i salari erano da fame e gli orari di lavoro pesanti: c’erano gravi problemi che lo Stato non sapeva o non voleva affrontare. Fu lui a creare la Pia Opera di Santa Zita per le domestiche le quali, provenienti per lo più dalla campagna, spesso indifese e disoccupate, finivano sul lastrico dandosi alla prostituzione. Ad essa affiancò la “Classe delle interne e educande” e la “Classe delle allieve maestre”; inoltre aprì pensionati per anziani, donne povere inferme o convalescenti, per signore di civile condizione e per sacerdoti.
Intanto era maturata in lui la vocazione al sacerdozio e, dopo aver superato l’opposizione dell’arcivescovo di Torino, grazie all’intervento di Pio IX ricevette l’ordinazione il 22 ottobre 1876 a Roma.
Pochi mesi dopo apriva una casa per la preservazione e la redenzione delle giovani. Successivamente, per garantire continuità e stabilità alle sue numerose opere, nel 1881 fondava la congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, preparata da un lungo periodo sperimentale di ben tredici anni, durante i quali le prime future suore, inizialmente sotto la guida di un religioso gesuita, il padre Ferraris, e poi dello stesso Fondatore, si formarono alla missione educativa e caritativa a cui la Provvidenza le aveva chiamate. Contemporaneamente, la sua sensibilità ai bisogni emergenti si concretava in altre iniziative di carattere sociale, dai fornelli economici per lavoratori ai bagni e ai lavatoi pubblici, dalla biblioteca circolante al Liceo Faà di Bruno e all’Istituto S. Giuseppe a Benevello d’Alba, per la preparazione professionale delle ragazze delle Langhe.
Questo imponente complesso di opere era da lui sostenuto finanziariamente con il suo stipendio di docente universitario, con fondi attinti al patrimonio familiare e con le elemosine che egli stesso, pur essendo di famiglia nobile, non si vergognava di chiedere ai fedeli davanti alle chiese. Tentò anche di coinvolgere le autorità comunali, ma sempre a causa delle pregiudizio anticlericale non attenne da loro alcun aiuto. Nonostante ciò, egli lavorava sodo ispirandosi a tre parole-guida: pregare, agire, soffrire.
Nel 1867 costruì a Torino nel popolare quartiere di San Donato, la chiesa detta del Suffragio, a cristiana memoria dei caduti per l’unità d’Italia. L’originale campanile, che spicca subito da lontano per l’altezza e la forma, porta la firma del nostro Beato.
Le fatiche dei suoi molti impegni quotidiani ne minarono la salute e il Faà morì a Torino il 17 marzo 1888: un mese e mezzo prima, il 31 gennaio, aveva lasciato questa terra anche Don Bosco. La salma fu trasferita nel 1925 dal cimitero generale alla chiesa di Nostra Signora del Suffragio. Tre anni dopo, data la crescente fama di santità di don Francesco, veniva costituito il tribunale diocesano per il processo canonico che si concluse il 15 settembre 1988 nella basilica di San Pietro a Roma, con la beatificazione presieduta da Giovanni Paolo II. Veniva così proposto all’attenzione della gente un personaggio che era rimasto troppo a lungo nell’ombra, ma la cui dedizione ai bisogni del prossimo lo colloca accanto ai grandi eroi della carità del secolo XIX.
Angelo Montonati