31/07/2012
Ascanio Caracciolo, nato il 3 ottobre 1563 a Villa Santa Maria (Chieti) apparteneva ad una delle famiglie più importanti dell’Italia meridionale, celebre per avere dato alla Chiesa cardinali, vescovi e amministratori capaci. Fin dall’infanzia e da adolescente egli mostrò una particolare inclinazione verso le pratiche di pietà, sentendosi attratto in particolare dall’Eucarestia ed essendo devotissimo della Madonna, che onorava indossando l’abitino del Carmine. Più tardi imparò a recitare ogni giorno il rosario e cominciò a digiunare in suo onore ogni sabato.
All’età di 22 anni, essendo stato colpito da una gravissima forma di elefantiasi che gli sfigurò il volto e altre parti del corpo, egli promise che, se fosse guarito, avrebbe abbracciato lo stato religioso. Il suo voto fu esaudito e Ascanio, dopo aver distribuito ai poveri i suoi beni personali, si recò a Napoli dove iniziò gli studi teologici con particolare predilezione per le opere di san Tommaso d’Aquino, e dedicandosi alla preghiera e alla penitenza. Ordinato sacerdote nel 1587, cominciò il suo apostolato iscrivendosi alla Compagnia dei Bianchi della Giustizia, il cui scopo era l’assistenza dei condannati a morte.
Successivamente, a causa di un disguido postale, si trovò coinvolto nella fondazione di una nuova comunità religiosa. Ed ecco come: nella cappella della Compagnia, situata nei pressi dell’ospedale degli Incurabili, svolgeva il suo ministero un altro sacerdote di nome Ascanio Caracciolo: al nostro santo fu recapitata per sbaglio una lettera destinata al suo omonimo, con la quale un nobile genovese, il venerabile Agostino Adorno, e l’abate di Santa Maria Maggiore di Napoli, anch’egli un Caracciolo di nome Fabrizio, gli chiedevano di collaborare alla fondazione di un nuovo Ordine, quello dei Chierici Regolari Minori. Quella lettera fu da lui accolta come un segno della Provvidenza: insieme ai due richiedenti, si ritirò nell’eremo di Camaldoli dove fu redatta la regola. Dietro suo suggerimento, ai classici tre voti di povertà, castità e obbedienza, ne fu aggiunto un quarto: quello di non accettare alcuna dignità ecclesiastica. Il 1° luglio 1588 papa Sisto V approvava la regola e il 9 aprile 1589 Ascanio faceva la professione, assumendo il dome di Francesco, per la grande devozione che aveva verso il Poverello di Assisi.
Presto nella piccola comunità affluirono nuovi soci e l’Adorno, che aveva importanti affari da curare in Spagna, chiese al santo di accompagnarlo allo scopo di stabilirvi l’Ordine, ma il loro soggiorno non ebbe l’esito sperato. Intanto il gruppo era stato trasferito, dalla prima sede della chiesa parrocchiale della Misericordia, a quella di Santa Maria Maggiore. Morto l’Adorno, nel 1591, Francesco nel 1593 fu eletto Preposito (Superiore) Generale perpetuo, ma egli per umiltà accettò la carica solo per tre anni, continuando la sua azione caritativa verso i poveri, questuando, assistendo gli infermi, facendo le pulizie in chiesa e nella casa, dove aveva scelto per sé la stanza più disadorna e piccola.
Nel 1594 tornò in Spagna dove poté aprire la prima casa. Rientrato in patria, alla scadenza del triennio fu rieletto Preposito generale ed egli, per obbedienza al Pontefice, accettò di rimanere in carica, ma solo per un anno e, scaduto il termine, riuscì a tornare un semplice religioso: nel frattempo aveva ottenuto per l’Ordine la chiesa di S. Agnese a Piazza Navona. Fu però mandato a Napoli come Preposito di quella casa e maestro dei novizi. Dotato del dono della profezia e della scrutazione degli animi, più volte predisse a dei giovani che sarebbero diventati religiosi e a qualcuno che avrebbe tradito la vocazione. Nel 1601 andò nuovamente in Spagna dove, eletto maestro dei novizi, fondò la casa della SS. Annunziata a Valladolid e un collegio presso l’università di Alcalà. Ma nel 1604 fu designato Vicario generale in Italia e Preposito della casa di S. Maria Maggiore a Napoli. Due anni dopo apriva a Roma il convento di S, Lorenzo in Lucina. Dopo ripetute insistenze, ottenne finalmente nel 1607 di essere liberato da ogni incarico per dedicarsi interamente alla preghiera e alla penitenza. Dormiva di solito non più di tre-quattro ore per notte, vestito, sopra assi di legno o su un ruvido saccone, dopo avere a lungo meditato sulla Passione di Gesù. Inoltre, ogni venerdì e nelle vigilie delle feste principali indossava un cilicio, Frugalissimo nel vitto, digiunava a pane e acqua tre giorni alla settimana e dal 1° al 14 agosto in onore della Vergine Assunta.
Nella bolla di canonizzazione si dice che niente per Francesco era più dolce che il parlare di Dio, niente più abituale che esortare all’amore di Lui: per questo veniva chiamato il promotore e il predicatore del divino amore. In lui il fuoco della carità era talmente grande che gli traspariva anche dal volto. Era solito protrarre l’adorazione del SS. Sacramento per intere notti e, per diffondere il culto dell’Eucaristia, stabilì che gli alunni dell’Ordine ogni giorno, a turno, si dedicassero all’adorazione. Inoltre, non si stancava mai di esortare i sacerdoti a celebrare ogni giorno la Messa ed a promuovere l’esposizione del SS. Sacramento per l’esercizio delle Quarantore ogni prima domenica del mese. Per questa sua pietà eucaristica i vescovi dell’Abruzzo lo elessero protettore del Movimento eucaristico della loro regione.
Il grande amore per il Signore Francesco lo riversava sul prossimo, procurando con zelo indefesso la conversione dei peccatori, togliendo dalla strada le prostitute, assistendo fraternamente i condannati a morte: per questo lo chiamavano il «cacciatore di anime».
Nel 1608, insieme al fratello Antonio, religioso teatino, si recò in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto; giunto nei pressi del santuario, esclamò improvvisamente: «Ecco il luogo del mio riposo». Poi andò ad Agnone, dove era stato invitato dai padri dell’Oratorio che, pensando di unirsi ai Chierici Regolari Minori, gli avevano chiesto di aprire una casa presso la loro chiesa della SS.ma Annunziata. Assalito da una violenta febbre, riuscì a ricevere il Viatico in ginocchio, poi entrò in agonia ripetendo: «Andiamo, andiamo!»; e a chi gli chiedeva dove, rispose: «Al cielo, al cielo!». Si spense il 4 luglio di quello stesso anno.
Beatificato da Clemente XIV nel 1769, il Caracciolo fu canonizzato da Pio VII il 24 maggio 1807. Una sua statua in marmo si conserva nella basilica di S. Pietro. Le sue reliquie furono traslate a Napoli nella chiesa detta di Monteverginella. Nel 1840 fu proclamato compatrono della città. A Napoli e a Roma svolge la sua attività la Pia Unione della famiglia Caracciolo, che pubblica un periodico – S. Francesco Caracciolo – con aggiornamenti della bibliografia sul santo.
Angelo Montonati