01/05/2013
Santa Maria Crocifissa di Rosa
Nata a Brescia il 6 novembre 1813, da famiglia nobile e facoltosa, fu battezzata coi nomi di Paola, Francesca e Maria. Era la sesta di nove figli, che purtroppo morirono tutti in giovane età. Dai genitori, in particolare dalla mamma, la contessa Camilla Albani, ricevette un’educazione cristiana.
A soli undici anni perdette la madre e allora il padre, il cav. Clemente Di Rosa, la collocò nel collegio gestito a Brescia delle Visitandine, dove la ragazza si distinse per l’impegno nello studio e per la condotta esemplare, venendo additata dalle monache come modello alle educande.
A diciassette anni tornò in famiglia e si affidò alla direzione spirituale del canonico Faustino Pinzoni, arciprete della cattedrale bresciana, il quale le impose un rigido stile di vita: alzarsi molto presto al mattino, anche d’inverno, fare un’ora di meditazione e mezz’ora di preghiere vocali prima della Messa, e alla sera un’ora di adorazione al SS. Sacramento. Il resto della giornata, Paola lo trascorreva occupandosi della casa e della numerosa servitù.
Quando il padre le propose il matrimonio con un giovane di pari condizione, quello si direbbe oggi un ottimo partito, lei rispose che non si sentiva fatta per quel genere di vita: probabilmente, la morte della madre e di alcuni fratelli l’avevano profondamente scossa.
Dopo aver fatto voto di verginità perpetua, accettò invece l’invito a dirigere una grossa filanda di seta che il padre aveva ad Acquafredda, nel Mantovano, e ad occuparsi dell’annessa casa che ospitava una settantina di operaie, da lei seguite anche dal punto di vista spirituale.
Durante l’estate, la famiglia andava in villeggiatura a Capriano provincia di Brescia, nelle tenute paterne, e qui Paola iniziò l’oratorio femminile e organizzò le missioni al popolo, pagando lei i sacerdoti che predicavano; inoltre, aiutava i poveri e assisteva gli ammalati con grande generosità.
Nel 1836 una epidemia di colera fece numerose vittime nel Bresciano e la santa, con il consenso del canonico Pinzoni, si dedicò ad assistere i contagiati nel lazzaretto della città, svolgendovi i servizi più umili e faticosi.
Calmatasi l’epidemia,le venne affidata la direzione della cosiddetta “Casa d’Industria” dove le ragazze imparavano un mestiere; e poiché a causa di difficoltà di carattere economico una dozzina di esse, le più povere, ne erano state escluse, lei le accolse in uno stabile preso in affitto.
In quel periodo collaborò anche alla gestione di una scuola per sordo-mute progettata da suo fratello Filippo insieme al Pinzoni.
E siamo alla svolta decisiva. Nell’assistere i malati, Paola aveva notato la scarsità delle infermiere e il basso livello delle loro prestazioni; per questo le venne l’idea di fondare una pia associazione di infermiere che fossero in grado di garantire un servizio continuo, completo ed efficace ad ogni tipo di malato. Così nel 1840, sempre con l’appoggio del canonico Pinzoni, insieme a Gabriella Echenos Bornati, con la quale aveva condiviso l’assistenza ai colerosi, riunì nell’ex convento di S. Domenico un primo gruppo di giovani disposte a seguirla in questa nuova avventura di carità. Altre ne sarebbero arrivate per iniziativa del conte Mario Passi, futuro fondatore delle suore Dorotee. Il vescovo di Brescia, mons. Domenico Ferrari, approvò le costituzioni che Paola aveva scritto conl’aiuto del Pinzoni e il 18 maggio di quello tesso anno, la direzione del’ospedale femminile cittadino autorizzò la presenza delle prime trentadue infermiere, guidate da Paola come superiora, che cominciarono a chiamarsi Ancelle della Carità.
Grazie all’aiuto paterno, fu poi acquistato l’ex-palazzo Mazzuchelli, che diventò la casa madre della Congregazione.
Non mancarono, soprattutto nell’ambiente ospedaliero, gli ostacoli alla nascente opera, ma la fama di essa si diffuse rapidamente anche oltre i confini del Bresciano, e il 30 agosto 1841 nasceva la prima casa filiale a Cremona.
Nuovo incremento venne dall’approvazione governativa del servizio in ospedale (18 febbraio 1843) e da quella imperiale, seguita dal riconoscimento della Santa Sede nel 1844 e dall’approvazione “di massima” delle Costituzioni da parte di Pio IX nel 1847.
Gli eventi politici del 1848-49 segnarono una battuta di arresto verso l’approvazione definitiva, ma aprirono alle Ancelle nuovi campi di apostolato: le vediamo infatti occuparsi dei feriti – piemontesi e austriaci - a Montichiari, a Valeggio e in occasione delle “dieci giornate di Brescia” (23 marzo-1° aprile 1849), nonché dei poveri e degli affamati dopo la forte repressione austriaca. L’anno dopo moriva il padre di Paola, e in settembre lei si recò a Roma per ottenere l’approvazione definitiva dalla Santa Sede: Pio IX, nel riceverla in udienza, si disse disposto ad aiutarla a sbrigare le ultime formalità richieste. Tre mesi dopo il suo rientro a Roma, il Papa firmava il Breve che approvava in via definitiva la congregazione. Poco dopo sarebbe giunta anche quella giuridica da parte imperiale.
Il 18 giugno 1852, solennità liturgica del Sacro Cuore di Gesù, nella chiesa di san Lorenzo, alla presenza del vescovo di Brescia mons. Verzeri ebbe luogo l’erezione canonica della congregazione.
Paola fece la sua professione religiosa assumendo il nuovo nome di Maria Crocifissa, che era già stato della sorella religiosa, deceduta nel 1839, e le prime diciotto compagne ricevettero l’abito religioso e tre giorni dopo fecero anch’esse la professione nella chiesa della casa madre, mentre la Di Rosa veniva nominata superiora generale dell’Istituto.
Alle fondazioni già esistenti di Mantova (1851) e di Udine (1852) se ne aggiunsero presto altre a Trieste, Ragusa, Varese, Desenzano, Rivolta d’Adda, ecc. Vivente ancora la fondatrice, furono ventiquattro le case aperte per la cura dei malati.
Nel 1855 la salute della santa, già cagionevole da tempo, cedette sotto il peso delle fatiche apostoliche.
Il 16 novembre, mentre si trovava a Mantova per gli esercizi spirituali con le Ancelle, suor Maria Crocifissa si ammalò gravemente a causa di un attacco cardiaco. Riuscì a stento a farsi accompagnare a Brescia nella casa madre.
Prima di morire chiese perdono alle sue figlie scusandosi se, nel riprenderle, aveva talvolta usato maniere forti.
Dopo averle esortate alla carità fraterna, spirò serenamente il 15 dicembre. Le sue spoglie, prima tumulate nella romba di famiglia, il 21 aprile 1856 vennero traslate definitivamente nella chiesa della casa madre, in una cappella a lei dedicata.
Caratteristiche della sua spiritualità furono un ascetismo permeato di amore alla sofferenza, un ardente culto eucaristico per cui l’adorazione fu introdotta come pratica diurna nella’Istituto, e una profonda devozione a Maria Immacolata e Addolorata.
Pio XII beatificò la Di Rosa nel 1940 e la canonizzò il 12 giugno 1954.
Angelo Montonati