23/07/2012
La congregazione delle Suore di Maria Bambina è nata dall’incontro di due sante: Bartolomea Capitanio, la fondatrice, e la sua collaboratrice Vincenza Gerosa le quali, sotto la direzione saggia e lungimirante del sacerdote Angelo Bosio, il 21 novembre 1832 lasciarono le loro case e si ritirarono in un’umile abitazione (che la gente chiamò subito il “conventino”) presso l’ospedale di Lovere, dedicandosi all’assistenza degli ammalati e all’educazione delle fanciulle.
La Capitanio, nata a Lovere sul lago d’Iseo il 13 gennaio 1807, era stata educata in paese dalle Clarisse, nonostante l’opposizione del padre, uomo dal carattere violento che più volte durante la settimana si ubriacava, bestemmiava e malmenava la moglie scacciandola persino di casa. Bartolomea si era diplomata maestra nel 1822 e aveva cominciato a insegnare alle alunne della prima elementare nello stesso educandato. Pur essendo attratta dalla vita claustrale, rientrò tuttavia in famiglia dopo due anni e aprì una piccola scuola per bambine povere nella sua casa, elaborando un metodo didattico che associava l’insegnamento scolastico a quello spirituale. L’atmosfera della Restaurazione post-napoleonica l’aveva spinta ad una militanza attiva per difendere la religione dalla crescente secolarizzazione propiziata dalle idee della Rivoluzione. Per venire incontro al disorientamento della gioventù femminile, seguendo il suo intuito profetico, sensibile a quello che chiamava un bisogno «grande ed estremo» dei suoi tempi, fondò un oratorio e una congregazione, sotto la protezione di Maria Bambina, imponendosi un severo programma di vita ascetica. Col tempo, grazie anche al suo carattere dolce, riuscì a condurre il padre ad una vita più tranquilla: sarebbe morto nel 1831 pentito dei suoi errori. La giovane alternava la sua attività educativa a quella assistenziale in un piccolo ospedale per i poveri, fondato a Lovere da Caterina Gerosa, dove era stata chiamata in qualità di direttrice ed economa. Nel lasciare la mamma e la sorella, aveva affermato: «Vi assicuro che, se non conoscessi chiaramente che la mia vocazione è vera volontà di Dio, non farei questo passo per tutto l’oro del mondo».
Nel 1829, dopo avere steso una nuova regola spirituale, guadagnò al suo progetto di creare una famiglia religiosa dedita alla carità anche Caterina Gerosa, che aveva ventitré anni più di lei ed inizialmente era riluttante ad affrontare questa avventura. Nata anch’essa a Lovere, il 29 ottobre 1784, pur essendo figlia di un ricco commerciante, aveva adottato uno stile di vita modesto, dedicandosi alla preghiera, alla mortificazione e alla carità: andava a mendicare per i poveri e quattro volte alla settimana offriva un pranzo a tredici bisognosi; vestiva abiti semplici e rattoppati, di notte si flagellava e restava a lungo prostrata in preghiera sul pavimento. Alla morte dello zio, avendo ereditato l’intero patrimonio della famiglia, a Lovere aveva istituito, insieme alla sorella Rosa, oltre alla Congregazione mariana per le fanciulle, un piccolo ospedale, affidandone la direzione appunto alla Capitanio la quale ogni giorno, dopo la scuola, vi prestava i più umili servizi medicando anche i malati più ributtanti e pericolosi.
Nel 1832, essendo cresciuto il numero degli infermi, dei poveri e della gioventù da soccorrere, Bartolomea e Caterina superando non poche difficoltà anche in famiglia, acquistarono un edificio in abbandono, che era appartenuto alla nobile famiglia Gaia, e la mattina del 21 novembre, alla presenza del parroco di Lovere, di don Bosio, di alcune amiche e di qualche parente, vi si tenne la cerimonia di fondazione dell’Istituto. Lì si concentrarono le opere avviate in precedenza: la scuola gratuita per le figlie del popolo, l’orfanotrofio con dieci alunne, le riunioni festive, l’assistenza ai bisognosi e ai malati. Nel 1833 le due fondatrici si unirono in una società legale che venne riconosciuta dal governo austriaco. Più difficile fu ottenere il placet dell’autorità ecclesiastica, nonostante i tentativi di mediazione di don Bosio: le regole scritte da Bartolomea furono infatti sostituite per sette anni da quelle delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Sarebbe stato Gregorio XVI il 5 giugno 1840 ad esonerare le suore di Lovere dalla dipendenza della congregazione della Touret.
La Capitanio però non ebbe il tempo di vedere gli sviluppi straordinari della sua opera, perché morì dopo soli otto mesi dalla fondazione: sul finire della Quaresima del 1833, tornando dalla chiesa parrocchiale dove aveva partecipato con le sue ragazzine all’adorazione del SS. Sacramento esposto, si sentì male e il medico la trovò affetta da bronchite e da un indebolimento generale dell’organismo dal quale non si riebbe più. Si spense serenamente il 26 luglio di quello stesso anno. Dichiarata venerabile da Pio IX nel 1866, fu beatificata da Pio XI nel 1926 e canonizzata da Pio XII il 18 maggio 1950.
Per Caterina Gerosa, la scomparsa della Capitanio fu un durissimo colpo, tanto che la congregazione parve vicina al naufragio; ma da donna forte quale era, la compagna si rimboccò le maniche e, docile ai consigli di don Bosio, in piena fedeltà alla linea della fondatrice, prese le redini del governo, formando alla vita religiosa le vocazioni che affluivano sempre più numerose, ed esigendo da loro spirito di sacrificio e di povertà. Lo sviluppo di queste Suore di Carità era stato previsto da Bartolomea che aveva detto, poco prima di spirare: «Quando sarò in cielo, sarò più utile all’Istituto che se rimanessi in terra». Il 21 novembre 1835 ebbe luogo la vestizione solenne delle prime suore e l’elezione a superiora della Gerosa, che prese il nuovo nome di Vincenza con riferimento a san Vincenzo De Paoli.
Nel 1842 il cardinale Gaetano Gaisruk, arcivescovo di Milano, chiamò le Suore di Carità a prestare servizio all’ospedale Ciceri e all’Istituto Maria Addolorata , poi nel 1845 all’ospedale Maggiore e l’anno dopo nel brefotrofio. Pienamente soddisfatto della dedizione e della competenza dimostrate dalle religiose, egli tentò di farne una congregazione diocesana, staccandole dal ramo di Lovere. Ma la Gerosa, spalleggiata da don Bosio, impedì la frattura. Prima che lei morisse, le suore erano già 247, distribuite in 24 case. Grande era il suo ascendente sulle consorelle per lo straordinario esempio che dava a tutte nell’esercizio delle virtù, e perché dotata del dono della profezia. Nel maggio 1847, stroncata dal lavoro e dalle penitenze, Vincenza fu costretta a letto e ai medici che cercavano di curarla, disse: «Lasciatemi andare in Paradiso, adesso è la mia ora». Spirò dolcemente il 26 giugno. Beatificata da Pio XI nel 1933, fu ascritta nell’albo dei santi da Pio XII anch’essa il 18 maggio dell’Anno Santo 1950 insieme alla fondatrice. I resti delle due sante si venerano a Lovere nella cappella dell’Istituto.
Da allora, le Suore di Carità delle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa (questa la denominazione ufficiale), sono comunemente chiamate “Suore di Maria Bambina” perché custodiscono nel santuario annesso alla Casa Generalizia, in via Santa Sofia a Milano, un antico simulacro della Vergine in fasce, proveniente dal convento delle Francescane di Todi e donato, dopo varie peregrinazioni, all’Istituto.
La congregazione, che ha come fine l’esercizio delle opere di misericordia, in particolare l’istruzione della gioventù e l’assistenza negli ospedali, è attualmente presente con 447 case in Europa (Italia, Regno Unito, Romania e Spagna), nelle Americhe (Argentina, Brasile, Perù, Uruguay e Stati Uniti) e in Asia (Bangladesh, Birmania, Giappone, India, Israele, Nepal, Thailandia e Turchia).
Angelo Montonati