Santi Giovanni De Matha e Felice Di Valois

14/11/2012

I frati Trinitari, subito riconoscibili perché sull’abito bianco portano una croce rossa e azzurra, furono fondati da due santi, Giovanni de Matha e Felice di Valois. Il primo nacque il 23 giugno 1154 nel castello baronale di Faucon, un villaggio alpino della Provenza.

Fin da fanciullo avvertì la vocazione religiosa, ma rimase a lungo perplesso  circa l’istituto da scegliere. All’università di Parigi studiò prima diritto, poi frequentò i corsi di Sacra Scrittura e di Teologia e nel 1193 decise di farsi sacerdote. Ed ecco l’episodio decisivo per la sua vita: durante la prima M;essa, celebrata il 28 gennaio 1194 gli apparve il Signore che teneva per mano due schiavi (uno nero e uno bianco) con le catene ai piedi. Giovanni capì che Dio lo chiamava ad occuparsi del riscatto dei prigionieri cristiani catturati dai pirati musulmani e venduti come schiavi in Tunisia, Algeria e Marocco. Si ritirò per qualche tempo a Cerfroid, una località solitaria da una settantina di km da Parigi, attrattovi dalla fama di un eremita che vi dimorava, di nome Felice, nato nella prima metà del secolo XII nella contea di Valois.  Con lui trovò altri tre anacoreti disposti a condividere il suo progetto, mettendo a disposizione se stessi e tutto ciò che possedevano per realizzarlo.

Intanto egli lavorava alla stesura di una regola, recandosi saltuariamente a Parigi per chiedere la consulenza del vescovo e dell’abate di San Vittore e per cercare altri compagni, riuscendo a conquistarne parecchi alla sua causa tra i giovani universitari; così in tre anni nacque l’Ordine della Santissima Trinità.

Alla casa madre di Cerfroid si aggiunsero presto quelle di De Planels e di Bourg-la-Reine. Il fondatore voleva comunità piccole, formate da quattro sacerdoti e da tre fratelli laici, con uguale trattamento per tutti senza distinzioni.  Oltre ai tre voti di povertà, castità e obbedienza erano previsti digiuni per circa la metà dell’anno e la quasi perpetua astinenza dalle carni. Inoltre, le entrate di ciascun convento, qualunque ne fosse la provenienza, erano destinate per un terzo al mantenimento dei religiosi, per un terzo all’assistenza dei malati e dei pellegrini, e per un terzo  al pagamento del riscatto degli schiavi.

Nel 1198 Giovanni de Matha, munito di lettere commendatizie dei prelati parigini, accompagnato da Felice di Valois si recò a Roma e alcuni mesi dopo papa Innocenzo III, che era stato suo condiscepolo all’Università parigina, approvò la regola della nuova famiglia religiosa e nel marzo 1199 consegnò al santo una lettera per Miramolino, il re del Marocco, nella quale lo invitava ad agevolare il riscatto degli schiavi.

Giunto in territorio africano e ottenuto il lascia-passare dalle autorità locali, Giovanni con alcuni suoi compagni si recò dai padroni o dai mercanti per individuare i casi più meritevoli da risolvere e contrattare con loro il prezzo del riscatto.

Ai prigionieri cristiani che volevano approfittare della presenza di un sacerdote, egli amministrava anche i sacramenti; inoltre, infondeva speranza in quelli che restavano assicurando che appena possibile sarebbe tornato per liberare anche loro. Lo sbarco a Marsiglia con i primi duecento rimpatriati produsse una enorme impressione non soltanto in città ma anche nelle regioni confinanti: il santo li accompagnò processionalmente, cantando il salmo In exitu Israel de Aegypto (All’uscita di Israele dall’Egitto), fino alla cattedrale dove ringraziarono la SS. Trinità per l’avvenuta liberazione. Ad essi fu poi consegnata una certa somma di denaro affinché potessero tornare alle loro famiglie.

E questo rito sarebbe stato poi ripetuto al ritorno di ogni spedizione.

Bisogna dire che quelli erano i tempi delle Crociate: con la prima era stata conquistata Gerusalemme, che però era sta nuovamente occupata, nel 1187, dal sultano d‘Egitto e di Siria, il Saladino, che aveva sconfitto presso Tiberiade le truppe cristiane capitanate da Guido di Lusignano.

Da allora altre Crociate si sarebbero susseguite con alterne fortune, lasciando molti soldati in mano ai vincitori, finché nel 1244 la città santa sarebbe definitivamente caduta in mano ai musulmani. Dal canto loro i berberi provenienti dai deserti africani con le loro scorrerie assalivano la Spagna facendo migliaia di prigionieri. Tra i riscattati dai Trinitari ci sarà anche Miguel de Cervantes, il famoso autore del Don Chisciotte,  che catturato nel 1575 in Turchia da una pirata e venduto sul mercato ad Algeri, sarà liberato cinque anni dopo dal frate spagnolo Juan Gil. Va detto anche che, con l’acuirsi del problema, nel 1218 san Pietro Nolasco avrebbe fondato a Barcellona l’Ordine dei Mercedari, con finalità analoghe.

Negli anni 1200-1201 i Trinitari aprirono altre case in Francia e in Spagna, con annessi ospedali e ospizi per gli schiavi infermi o rimasti senza familiari. Giovanni, spinto dall’ardente carità che lo animava, si trasformò in pellegrino questuante predicando, sollecitando aiuti dai potenti e sensibilizzano le masse al problema della redenzione degli schiavi, ottenendo da molti vescovi il permesso di stabilire le sue comunità nelle loro diocesi.

E mentre lui viaggiava, Felice di Valois, più vecchio di lui, rimase a Cerfroid curando la formazione delle nuove reclute dell’Istituto: e lì ogni anno, nella settimana di Pentecoste, i superiori delle varie case vicine e lontane si riunivano per il Capitolo generale.

È difficile calcolare il numero degli schiavi (ma si parla di decine di migliaia) liberati da Giovanni e dal suoi confratelli delle altre case, che si moltiplicarono presto: basti pensare che verso il 1250, cioè a mezzo secolo dalla fondazione dell’Ordine, esse avevano raggiunto la cifra incredibile di seicento! Ma già nel 1209 i conventi erano una trentina, dieci dei quali con annesso ospedale. In quello stesso anno, Giovanni si recò a Roma per l’ultima volta ed ebbe in dono da Innocenzo III la chiesa abbaziale di S. Tommaso in Formis sul Celio, con numerose dipendenze. E lì egli trascorse gli ultimi quattro anni di vita, dedicandosi ai poveri, alla preghiera, alla predicazione e alla mortificazione. Alcuni biografi dicono che vi avrebbe ospitato san Francesco d’Assisi, venuto dal Papa per chiedere l’approvazione dei suoi Frati Minori. La morte sopraggiunse il 17 dicembre 1213 e Giovanni fu sepolto nella chiesa di S. Tommaso; qui rimase fino al 1665 quando, nella notte del 19 marzo, due suoi frati spagnoli penetrati clandestinamente nella chiesa dopo che il convento era diventato proprietà di secolari, ne trafugarono le spoglie portandole in Spagna, nella chiesa dei Trinitari a Madrid e, dopo la soppressione di questa nel secolo XIX, nel locale monastero delle Trinitarie dove tuttora si venerano.

Felice di Valois lo aveva preceduto morendo nel convento di Cerfroid, a oltre ottant’anni di età, il 4 novembre 1212. La venerazione per i fondatori e il ricordo della loro santa vita, già presenti sia nelle prime narrazioni circa l’origine dell’Ordine, sia nelle immagini e nelle statue poste nelle loro chiese, in seguito ai decreti di Urbano VIII che proibivano il culto pubblico di santi non canonizzati, spinsero i Trinitari e promuovere la causa di Giovanni e di Felice. I processi, iniziati verso il 1630 indussero nel 1666 Alessandro VII a confermarne il culto e i loro nomi nel 1679 vennero inseriti nel Martirologio Romano da Innocenzo XI.

La loro festa si celebra il 17 dicembre (Giovanni) e il 4 novembre (Felice). Attualmente, venuto a mancare lo scopo iniziale per cui furono fondati, i Trinitari si dedicano alle varie forme di apostolato in Europa e nelle missioni in America, nonché in particolare alla devozione verso il mistero della SS. Trinità mediante il Terz’Ordine, la Confraternita omonima e l’adorazione perpetua.

Angelo Montonati
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