10/03/2011
Occupandomi di volontariato, è sorta una discussione se al tempo di Gesù fossero in grado di distinguere tra epilettici, lunatici e indemoniati. E le traduzioni del Vangelo non sempre sono chiare in proposito.
Enrico R. - Torino
L’episodio evangelico più pertinente alla sua domanda si trova in Mc 9,17-29, e nei suoi paralleli (Mt 17,14-18 e Lc 9,38-43). La descrizione di Marco, come lei ha giustamente rilevato nella sua lettera, non cita mai il termine epilettico (quello che si avvicina di più al concetto è ‘lunatico’ – in greco il verbo seleniàzomai – usato da Mt 17,15; unica altra volta nel NT è in Mt 4,24), ma, per la chiarezza con cui sono forniti dettagli dei sintomi, sembra indicare che qui si tratti proprio di un epilettico.
Cadere a terra in preda a convulsioni, spumare, digrignare i denti, la rigidità dovuta alle contrazioni dei nervi, gli attacchi della malattia che iniziano dall’infanzia: tutti questi sono, ciascuno preso singolarmente, indizi di questa malattia: è il loro accumulo a non lasciarci quasi possibilità di dubbio.
Questa è una caratteristica preziosa dell’evangelista Marco, che a differenza degli altri, si sofferma maggiormente su particolari a prima vista non così importanti per lo svolgimento della narrazione, ma che sembrano aderire più da vicino alla realtà storica dell’avvenimento.
Anche per tale motivo il Vangelo di Marco può essere più indicato per cercare di rispondere a domande su questioni di carattere storico, come quella che lei ha posto, a differenza di Matteo, che nell’episodio parallelo intende sottolineare maggiormente il contrasto tra Gesù e la mancanza di fede della sua generazione. Inoltre il diverso termine impiegato da Matteo per indicare la malattia sembra far riferimento non tanto a una diversa patologia, ma alla credenza che gli attacchi epilettici fossero ricollegabili con le fasi lunari.
Tornando, quindi, a Marco, mi sembra interessante far emergere la sua interpretazione degli eventi. Il fatto che si parli di uno spirito muto fa riferimento certamente all’impossibilità fisica di parlare per l’irrigidimento nervoso e la perdita di coscienza dovuta alla malattia, ma è forse anche un riferimento al fatto che il male attacca anzitutto l’uomo nelle sue facoltà superiori, quelle che, tra l’altro, gli consentono di confessare la fede.
Poiché il demone non può confessare la sua fede, egli è muto. Anche il fatto che il demone cerca di far cadere il fanciullo nell’acqua o nel fuoco, ha una valenza simbolica per Marco: il male ha una forza distruttiva che sembra invincibile e che punta alla morte.
Dunque, sia che Marco avesse qualche nozione medica sull’epilessia o che condividesse l’idea più diffusa nel senso comune della sua epoca, che in essa è all’opera uno spirito demoniaco, in ogni caso ciò che a lui importa non è l’origine del male ma la sua finalità, la morte. Il male porta inevitabilmente alla morte e l’unica parola autorevole contro di esso è quella di Gesù.
Non a caso il termine con cui Marco indica il rialzarsi del fanciullo è usato anche per significare la risurrezione dai morti e il gesto di Gesù, di prenderlo per mano, è lo stesso dell’episodio della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,42). Solo la fede nella parola di Gesù rende possibile il miracolo e al contempo apre la sua corretta interpretazione.
Riassumendo, possiamo affermare che, se la descrizione dei sintomi ci riporta a un fenomeno di epilessia, e il senso comune del tempo, in particolare in ambiente giudaico, lo considerava come una possessione, in realtà per i Vangeli ciò che importa è che ogni tipo di male ha un’origine misteriosa e solo la fede in Cristo può definitivamente illuminarla nell’atto stesso in cui la riduce all’impotenza. E ciò credo possa valere anche per noi.
Giuseppe Pulcinelli