30/05/2012
In una risposta su Famiglia Cristiana il teologo sostiene che l’inferno non ha esistenza oggettiva (evidentemente non crede alle visioni di Fatima e di Medjugorie, né alla Geenna e al fuoco eterno neotestamentari). Mette poi in contraddizione, strumentale a mio avviso, autodannazione e condanna, facendo credere che la convinzione popolare di condanna sia stata malamente attribuita a Dio e non che sia stata una “convenienza” della Chiesa d’altri tempi. Il Nuovo Testamento, infatti, non parla mai di condanna (tranne alcune affermazioni ambigue di san Paolo), semmai di divisione tra capri e pecore al momento del giudizio. Se, invece, si comincia a dire che l’inferno è creazione della creatura si evince non solo che la creatura sia capace di creare, ma che la giustizia divina sia sottomessa alla giustizia umana.
Luigi C.
L’inferno è "una reale possibilità", come afferma testualmente il Catechismo dei vescovi tedeschi; esiste nella misura in cui esistono dei dannati. Non è un luogo prefabbricato, come è stato normalmente immaginato nel passato e come è stato descritto dal nostro Dante Alighieri.
È proprio per questo che il grande teologo Y. Congar ha detto che, se vogliamo avere qualche idea possibile sull’inferno (e sugli altri stati dell’aldilà), dobbiamo chiudere la Divina Commedia, la quale peraltro conserva tanti altri valori.
L’inferno è sostanzialmente (e questo da sempre) la perdita di Dio, che gli antichi chiamavano “pena del danno”. E il distacco da Dio, il rifiuto della sua offerta di salvezza, è semplicemente opera dell’uomo. Per questo si parla oggi di autocondanna e non di condanna da parte di Dio, che vuole la salvezza di tutti.
Questo rifiuto, come in genere il peccato, non è una creazione, ma piuttosto il suo contrario, l’annullamento dell’opera di Dio, l’unica cosa che l’uomo può fare.
Giordano Frosini