06/12/2012
Il teologo Luigi Lorenzetti.
Perché la Chiesa non ammette l’uso del preservativo per far fronte al flagello
dell’Aids?
Lettera firmata
La lotta contro il flagello
dell’Aids segue strade diverse.
La prima, denominata
“sanitaria”, affida al profilattico
la prevenzione dal contagio.
La seconda, che si può
qualificare “ideologica”, è
propagandata dai fautori
del “sesso libero” che diventa anche
“sicuro” con il profilattico. Ma
non è proprio così. La sua diffusione,
infatti, non accompagnata da
oggettiva informazione sulla reale
efficacia, espone le persone a contrarre
e a trasmettere la malattia.
La terza, di indirizzo “etico-educativo”,
si distanzia nettamente
dalla precedente e propone l’umanizzazione
e responsabilizzazione
del comportamento sessuale.
«La soluzione
del fenomeno dell’Aids», così Benedetto
XVI alla domanda di un giornalista,
«può trovarsi in una umanizzazione
della sessualità, cioè in un rinnovo
spirituale e umano che conduce a
un nuovo modo di comportarsi l’uno
con l’altro, [...] a un comportamento
giusto nei confronti del proprio corpo
e di quello dell’altro».
A tale proposta si obietta che, nelle
nostre società, si pratica un costume
sessuale disordinato e, quindi, l’uso
del preservativo ha almeno il merito di
ridurre il danno. Al contrario, ha il demerito
di favorire la sessualità disordinata
e, quindi, la diffusione dell’Aids:
libertà sessuale e lotta all’Aids non sono
conciliabili.
A un costume sessuale disordinato, la
morale della Chiesa contrappone un costume
ordinato da praticare. Utopia? È,
invece, un ideale normativo che sa confrontarsi
con la situazione, la comprende
e anche la tollera in situazioni estreme,
come male minore, ma non la giustifica,
perché legittimare significa impedire
di crescere. L’uscita dal flagello
dell’Aids richiede ben altro che il preservativo.
Richiede pensiero e azione di persone,
singole e associate in varie forme
di volontariato, che uniscono la solidarietà
all’esperienza maturata sul campo.
Luigi Lorenzetti