29/11/2010
Nell’Antico Testamento ci sono molti episodi sconcertanti di violenza: la morte dei primogeniti egiziani (cf Es 12,29), la condanna a morte per i bestemmiatori (Lv 24), il monito di Mosè ai soldati che volevano risparmiare donne e bambini (Dt 20). Che senso ha tutto questo quando poi Gesù dice che perfino dire ‘stupido’ a una persona è disdicevole?
Pasquale I. – Gragnano (Na)
La lettura di alcuni passi dell’Antico Testamento ha sempre suscitato molti interrogativi nei cristiani, e antiche eresie, come quella di Marcione, sono nate proprio dalla difficoltà di comprendere il vero volto del Dio di Israele e dalla rinuncia, più o meno consapevole, ad affrontare la fatica di accostare questi testi, scaturiti da un’epoca e una cultura molto distante da quelle del lettore attuale.
La strada per rispondere a questa domanda inizia allora col considerare che l’Antico Testamento è un insieme di testi che sono stati scritti lungo un arco temporale di circa un millennio, da un popolo che ha conosciuto una lunga maturazione culturale e religiosa.
Ad esempio lo hèrem, o interdetto, faceva parte della cultura e mentalità dei popoli semiti, per il quale, in occasione di una vittoria militare era necessario riservare al capo una parte del bottino di guerra. Israele interpreta questa norma alla luce della sua fede nel Dio di Israele: a lui sarà sacrificato il bottino di guerra, perché è lui il capo di Israele, l’unico al quale si possono ascrivere i meriti della vittoria militare di Israele (cf Nm 21,1-3 o anche Dt 2,34).
Dopo l’esilio Israele, in una situazione di grave rischio per la sua identità culturale e religiosa, interpreterà lo hèrem come una norma data da Dio per difendere il popolo dalle possibili contaminazioni con altre divinità (cf Dt 20,16). Da un punto di vista teologico questo non ci stupisce: Dio entra dentro la storia di un popolo particolare, assumendone la lingua e le categorie culturali e morali (che, com’è ovvio, sono molto diverse dalle nostre) per farle evolvere al servizio della sua progressiva rivelazione, che avrà il suo compimento nel Verbo incarnato.
Analogamente per quanto riguarda gli altri due riferimenti, è necessario considerare che i procedimenti giudiziari in Israele sono di due tipi: il rib, in cui la parte lesa si rivolge direttamente al colpevole con un’accusa, volta sempre alla sua conversione e al ristabilimento della relazione; e il mishpat, in cui le due parti si rivolgono al giudice ed egli commina una pena proporzionata al peccato.
Mentre la pena del bestemmiatore (Lv 24) è un mishpat, che commina la morte, come pena conseguente a un peccato (la bestemmia procura di per sé la morte perché separa da Dio), invece la storia delle piaghe d’Egitto narrata nel libro dell’Esodo altro non è che un rib che Dio muove a Faraone, e che ha per fine la sua conversione. Tuttavia, poiché Faraone si ostina, tale accusa simbolizzata dalle piaghe ha precisamente l’effetto di manifestare l’indurimento del suo cuore, fino ad arrivare all’estremo del giudizio (mishpat) del mar Rosso in cui si manifesteranno definitivamente gli effetti di morte di un cuore indurito.
In questa linea si muove anche il libro della Sapienza, che, cronologicamente ultimo tra i libri dell’Antico Testamento, interpreta gli eventi dell’Esodo alla luce della pedagogia misericordiosa di Dio: «Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore» (Sap 12,2).
Dunque bisogna tener conto che nell’Antico Testamento ci sono elementi “imperfetti e caduchi” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum n. 15) che la pedagogia divina non poteva eliminare subito; il popolo viene raggiunto dalla rivelazione nello stato in cui si trova, per essere poi pian piano elevato al disegno di Dio, che trova il suo compimento in Gesù Cristo.
Dizionario minimo
Marcione (85 c. – Roma, 160): secondo questo teologo esistevano due divinità, il Dio degli Ebrei, autore della Legge e dell’Antico Testamento, e il Dio Padre di Gesù Cristo, che aveva mandato il proprio figlio per salvare gli uomini; solo il secondo era il vero Dio da adorare e che portava la salvezza. Per sostenere le proprie dottrine, Marcione raccolse il primo canone cristiano di cui si ha notizia, che comprendeva dieci lettere di Paolo e un Vangelo (probabilmente il Vangelo secondo Luca), detto Vangelo di Marcione; allo stesso tempo rigettava completamente la Bibbia ebraica, considerandola ispirata da un Dio inferiore.
Giuseppe Pulcinelli