16/08/2010
Ho seguito le celebrazioni sull’Anno paolino, conclusosi senza che
nessuno accennasse alle tante affermazioni misogine di san Paolo. Se
penso a lui non mi vengono in mente la caduta da cavallo, l’inno alla
carità e la missionarietà, ma la sua conclamata disistima per le donne.
Giusi C. – e-mail
Le collaboratrici nell’apostolato
Le lettere autentiche di Paolo contengono – specialmente nella loro parte finale – numerosi accenni a persone menzionate con il loro nome, spesso accompagnati da brevi titoli e osservazioni, che studiati singolarmente e nel loro contesto, si sono rivelati preziosi per ricostruire il quadro della situazione storica delle prime comunità cristiane, e in particolare il ruolo delle donne nel ministero apostolico.
Ad esempio, nella lettera ai Filippesi Paolo nomina due donne, Evodia e Sintiche, esortandole a essere concordi nel Signore (4,2), e prega un suo fede- le compagno ad aiutarle (a riconciliarsi), poiché esse hanno combattuto per il Vangelo insieme con lui, al pari di altri collaboratori tra cui Clemente: «i loro nomi sono scritti nel libro della vita» (4,3).
Per queste donne l’aver lottato insieme all’Apostolo per la diffusione del Vangelo comporta in qualche modo l’aver esercitato almeno in parte lo stesso ministero dell’Apostolo; inoltre le espressioni di ammirazione e il fatto che praticamente sono le uniche persone a esser nominate – oltre a Clemente che è probabilmente un componente di quella Chiesa – portano a dedurre che esse devono aver avuto un ruolo di primo piano nella conduzione di quella comu- nità. Qualcosa di simile si può supporre anche di Cloe (1Cor 1,11) e di Appia (Fm 2).
Ma è soprattutto nel capitolo conclusivo della lettera ai Romani che abbon- dano i riferimenti a donne collaboratrici nell’apostolato, a cui Paolo rivolge saluti e apprezzamenti. Vediamoli in sintesi:
In Rm 16,1-16 Paolo nomina ventinove persone, ventisette delle quali riportando il loro nome, tra cui otto donne (più due senza nome, la madre di Rufo e la sorella di Nereo; vv 13.15).
La prima menzionata è Febe, detta «nostra sorella, che è diacono della Chiesa di Cencre… patrona di molti e anche di me stesso» (vv 1-2). La ve- dremo a parte.
Al v 3 dice di salutare Prisca e Aquila (suo marito). Prisca (o Priscilla, cf. At 18,2s.26; 1Cor 16,19; cf. anche 2Tm 4,19) è identificata come “collaboratrice”.
Al v 6 saluta Maria «che si è data molto da fare per voi».
Al v 7 chiede di salutare «Andronico e Giunia… eccellenti tra gli apostoli». Giunia non è un uomo come molti commentatori – specialmente nel passato – hanno sostenuto, bensì una donna. Di loro Paolo afferma che sono suoi pa- renti, e diventati discepoli di Cristo prima di lui.
Al v 12 dice di salutare Trifena e Trifosa, due donne che «si danno da fare per il Signore»; e «la carissima Perside», anch’essa «si dà molto da fare per il Signore».
Al v 13 saluta la madre di Rufo che è stata anche per Paolo una madre.
Al v 15 si nomina infine Giulia e la sorella di Nereo.
Se si va a fare il conto di tutte le persone menzionate in 16,1-16, le donne sono circa un terzo degli uomini, e tuttavia le cose che si dicono di loro sono talmente rilevanti da far intravedere un loro ruolo di primo piano nelle prime comunità cristiane (e non solo in quelle di matrice paolina, in quanto sappiamo che Paolo scrive a una comunità non fondata da lui), in quanto collaboratrici nel ministero apostolico di Paolo, o in generale in quanto «si sono date da fare per il Signore».
Rm 16 dunque, come ha affermato un commentatore, può davvero essere intesa come «la più gloriosa attestazione di onore per l’apostolato della donna nella Chiesa primitiva».
(4 – continua)
Giuseppe Pulcinelli