12/08/2010
Ho seguito le celebrazioni sull’Anno paolino, conclusosi senza che
nessuno accennasse alle tante affermazioni misogine di san Paolo. Se
penso a lui non mi vengono in mente la caduta da cavallo, l’inno alla
carità e la missionarietà, ma la sua cnclamata disistima per le donne.
Giusi C. – e-mail
Se si volesse per forza scegliere un testo paolino che esprima i principi ispiratori, al di là di questioni disciplinari contingenti, allora non c’è dubbio che occorra riferirsi a Gal 3,28:
Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero
non c'è più maschio né femmina, tutti voi infatti uno siete in Cristo Gesù.
In questo che è probabilmente un testo o inno battesimale diffuso presso le prime comunità cristiane, ci sono tre binomi formati da opposti che trovano in Cristo il proprio superamento: c’è la dicotomia che è insieme etnica, culturale e religiosa: giudeo / greco; quella sociale-classista: schiavo / libero; e infine la dicotomia sessuale maschio / femmina; qui si vuole sottolineare come l’essere in Cristo (attraverso la fede e il Battesimo) è ora il criterio nuovo che informa i rapporti interpersonali e conferisce uguale dignità alle persone, indipendentemente da tutti i condizionamenti, anche quelli sessuali.
L’affermazione di Gal 3,28 è dunque molto forte, e il principio del supe- ramento delle discriminazioni che viene propugnato costituisce indub- biamente uno dei fondamenti essenziali del cristianesimo: da questo punto non si può più tornare indietro (naturalmente il tema dell’imparzialità e del- l’uguaglianza di dignità emergeva già dalla predicazione e dalla prassi di Gesù stesso).
Un’altra osservazione – che malgrado la sua ovvietà conviene ribadire – è quella che in casi come questi va considerato il condizionamento storico e culturale di tali pronunciamenti in campo disciplinare: essi sono stati scritti in occasione di vicende contingenti e circoscritte a quel particolare periodo storico della Chiesa e non vanno perciò indiscriminatamente considerati normativi per la Chiesa di oggi (e quando purtroppo lo si è fatto non è stato certamente un bene per la Chiesa); non siamo infatti di fronte a principi dottrinali generali, la cui validità si estenderebbe a tutte le epoche, ma a indicazioni fortemente influenzate dalle situazioni e problemi concreti di determinate comunità paoline.
Da questa base di partenza è praticamente impossibile affermare che Paolo in via di principio chieda che le donne tacciano nell’assemblea; ogni seria ricostruzione della condizione della donna nelle prime comunità cristiane di matrice paolina non può non tenerne conto.
Infine, un argomento molto importante, difficilmente conciliabile con l’ingiunzione rivolta alle donne a tacere nelle assemblee, la prassi stessa di Paolo che emerge sia dalle lettere che dagli Atti degli Apostoli, tema che affronteremo in una prossima puntata.
(3 - continua)
Giuseppe Pulcinelli