Celibato dei sacerdoti e chiese unite

In tutte le questioni che si agitano a proposito del ministero e della vita del prete.

15/04/2010

Come mai papa Benedetto XVI ha aperto agli anglicani, accettando che i loro sacerdoti aderiscano alla Chiesa cattolica pur rimanendo sposati?
Mario V. - mail

In tutte le questioni che si agitano a proposito del ministero e della vita del prete, nell’opinione pubblica sembra che tutto il problema ruoti intorno al celibato. I mezzi di comunicazione non fanno che parlare di questo problema con superficialità e un certo prurito morboso. Per chi conosce la storia, è un dato ovvio che la Chiesa cattolica ha sempre avuto, da san Pietro in giù, preti e vescovi sposati. E ce l’ha ancora, perché il Codice di diritto canonico delle Chiese orientali non prevede per i preti l’obbligo di restare celibi. Quindi, nelle Chiese cattoliche di rito orientale, da quello bizantino di alcune comunità cattoliche greche, albanesi, serbe eccetera a quello copto praticato in Egitto, a quello caldeo dell’Irak, a quello armeno nelle comunità dell’emigrazione armena nel mondo, a quello siriaco della Siria e di alcune regioni dell’India, ci sono sempre stati e ci sono tuttora dei sacerdoti sposati. Già Pio XII aveva concesso ad alcuni sacerdoti anglicani, passati alla Chiesa cattolica, di esercitare il ministero restando uniti alla loro famiglia. La recente decisione di Benedetto XVI di istituire delle diocesi personali per gli anglicani che desiderano unirsi alla Chiesa cattolica intende offrire loro la possibilità di vivere nella comunione cattolica, conservando riti, usi e valori della loro tradizione. Queste diocesi saranno governate secondo il Codice di diritto canonico occidentale e conserveranno, quindi, la legge del celibato per i preti, anche se è permesso ai preti anglicani già sposati di accedere agli ordini ed esercitare il ministero nella Chiesa cattolica. Per i vescovi di queste diocesi è prevista la possibilità di chiedere al Papa, per particolari ragioni e di caso in caso, di ordinare anche uomini sposati. Il provvedimento è significativo perché rappresenta un piccolo esempio delle forme che la Chiesa cattolica potrebbe assumere il giorno in cui si raggiungesse l’unità. È evidente che a questa mèta non si potrà mai arrivare con una decisione unilaterale della Chiesa cattolica. Né le forme diverse di disciplina e di governo delle Chiese, che vorranno vivere in una piena unità, potranno essere pensate nella misura molto ristretta delle diocesi personali volute per gli anglicani. Saranno necessarie forme di ordinamenti che, per risultare veramente capaci di conservare le tradizioni e i valori particolari delle Chiese, non potranno risultare inquadrate in un unico Codice di diritto canonico, tanto meno in quello attualmente in vigore per le Chiese occidentali. Un modello possibile potrebbe essere il Codice già esistente per le Chiese cattoliche orientali. In questo ordinamento, per esempio, i vescovi non sono nominati dal Papa, i preti non hanno l’obbligo del celibato, le decisioni di governo hanno sempre un’ampia forma collegiale. Il Vaticano II aveva riconosciuto che le Chiese anglicane, ortodosse, protestanti hanno conservato e sviluppato autentici valori della fede e della spiritualità cristiana. Il cammino ecumenico ha maturato l’idea che una riunificazione non dovrà comportare l’abbandono di questi valori per un’omologazione di tutti in una stessa e unica disciplina canonica e l’adozione in tutte le strutture ecclesiastiche di un unico modello. Ciò che è necessario è l’unità nella medesima fede che, nella grande tradizione cattolica, da tutti vissuta prima degli eventi della separazione, comporta la comunione con il Papa e l’accoglienza del suo magistero a garanzia dell’unità della Chiesa.

Severino Dianich
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