30/05/2012
Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Corriere della Sera
«Si sente dire spesso che i paesi ricchi e sviluppati hanno
perso sia il senso della famiglia che della festa. Questo tuttavia è smentito
dai sondaggi secondo cui la famiglia resta largamente in testa nei valori
portanti della nostra società». Non è pessimista sul senso della festa in
Occidente il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, intervenuti nel
pomeriggio del 30 maggio alla tavola rotonda sul tema “Lavoro e festa. Il
caso dei paesi a economia avanzata”. Con Ferruccio De Bortoli, direttore de
Il Corriere della Sera, e il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla,
Barbarin ha cercato di fornire elementi di speranza. «E’ vero, Jean Vanier,
fondatore de L’Arca, ricorda spesso che la festa nutre i cuori e ridà speranza
ai cuori affranti e per questo essa è un aspetto molto sentito nella vita dei
popoli poveri. Come ex missionario in Madagascar, paese poverissimo, sono
rimasto impressionato dalla gioia nel celebrare la festa religiosa, la
domenica, della popolazione malgascia». Monsignor Philippe Barbarin, 62 anni,
una delle voci più ascoltate della chiesa di Francia, ha poi ricordato che
durante la liturgia «avendo poco o niente da offrire, “offre” sé stessa
accogliendo anche l’ospite inatteso con un sorriso e un abbraccio». Da noi in
Occidente la dimensione della festa rimane un po’ più nascosta, ma non è
sparita: «Anche quando la festa assume il tono un po’ forzato del rave party
credo che il tentativo di chi l’organizza o vi partecipa sia un po’ quello di
superare un momento di tristezza».
Ferruccio De Bortoli, commentando a caldo quanto detto dal
suo interlocutore francese, ha confessato di ricavare maggior consolazione
assistendo alla Messa di una comunità immigrata a Milano che a una delle nostre
“grigie” celebrazioni. Il direttore ha individuato nella globalizzazione il
paradigma che ha mutato il modo di affrontare tutte le difficoltà a cui eravamo
abituati: una volta insieme agli altri, ora da soli. Sindacati, partiti,
associazioni e istituzioni avevano una loro fondamentale funzione collettiva.
«La globalizzazione ha invece esteso indefinitamente la soggettività
individuale fino ad arrivare ad avere delle “community” in rete, finte comunità
che mantengono le distanze tra gli interlocutori senza coinvolgerli nel
profondo». Insomma la multimedialità esalta il singolo «offre il palscoscenico
alle vanità, lo ammalia con la sensazione illusoria di onnipotenza dialogando
con qualcuno dall'altra parte del mondo ma lasciandolo impreparato a
confrontarsi col vicino». Il panorama sociale vede «il vecchio circolo non
esserci più, l’associazionismo aver perso il suo smalto, la parrocchia svuotata
e le città mondiali ormai assomigliarsi tutte, con le stesse catene di negozi».
In una parola per De Bortoli la malattia si chiama «dislessia dei rapporti
umani diretti», con la conseguenza della porosità dei confini tra famiglia e
società, tra vita e morte, tra famiglia naturale e altre famiglie, tra festa e
lavoro, tra tempo della formazione e tempo del lavoro. «La difesa del lavoro
comporterà la compressione dei diritti e del tempo libero», predice l’intellettuale,
che però lancia un salvagente: «La crisi e la povertà conseguente possono essere
l'occasione per scoprire il tempo del riposo e della festa, considerandola
tempo di Dio».
Stefano Stimamiglio