13/09/2011
Al centro l'ambasciatore statunitense in Germania, Philip D. Murphy
Cosa è cambiato nello scenario internazionale in questo decennio che ci separa dall’attentato alle Torri Gemelle di New York e marcato dalle guerre in Afghanistan e Iraq e dal terrore globale? Siamo davvero di fronte a un bivio tra la violenza, che risponde ad altra violenza, e la pace? Ne hanno discusso stamani alcuni autorevoli esperti in una tavola rotonda dal titolo “11 settembre 2001-2011. Dieci anni dopo” organizzata nella Residenz di Monaco di Baviera nell’ambito del 25° Incontro internazionale della pace. Il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura ha introdotto i lavori dicendo che «dieci anni fa questo dramma ci ha sconvolti nella sua dimensione mostruosa e disumana di odio ma siamo stati animati allo stesso tempo dallo slancio di solidarietà che si è evidenziato subito, ad esempio ad opera dei pompieri di New York. Capimmo subito che ci trovavamo di fronte a un bivio storico e che dovevamo scegliere tra la vita e la morte. Alla fine di questo decennio pieno di sangue abbiamo capito definitivamente che la via della violenza porta solo alla morte e che l’unica via percorribile è quella stretta del dialogo».
Thomas Banchoff, professore alla Georgetown University e sociologo delle religioni, si è soffermato sul fatto che uno dei primi effetti dell’attentato dell’11 settembre è stato quello di aumentare le tensioni tra gli americani di religione musulmana, che rappresentano l’1% della popolazione, e gli altri americani. Uno degli effetti positivi di questi dieci anni, secondo Banchoff, è stato quello di vedere aumentare gli sforzi per incorporare i musulmani americani nella religione civile americana, quella che la libertà dell’uomo come fondamentale nel piano di Dio. Nonostante questo , tuttavia, «gli attacchi alla popolazione musulmana è aumentata in questi anni». «C’è ancora molta strada da fare», ha concluso, «ma abbiamo nel nostro passato esempi positivi d’integrazione nella società americana da parte di milioni di protestanti, di cattolici e di ebrei». Philip D. Murphy, ambasciatore americano nella Repubblica federale di Germania, ha sottolineato invece come dai tanti memoriali per il decimo anniversario che sono stati celebrati domenica scorsa nel mondo si evince come si sia ormai imposto in questi anni uno “spirito” comune tra gli uomini di buona volontà. «Obama ha detto nel suo discorso a Ground Zero che molto è cambiato in questi dieci anni ma la nostra fiducia in Dio, negli Usa, nell’idea di libertà dell’individuo, di autodeterminazione dei popoli e il nostro carattere non sono cambiati», ha osservato il diplomatico. L’ambasciatore ha poi sottolineato, riferendosi al suo Paese, che «bisogna lottare contro i centri del terrore, contro la loro finanza, il loro modo di trovare terroristi e tenere conto che il terrorismo trova terreno dove c’è oppressione, dove non c’è lo stato di diritto».
Tonio Borg, Ministro degli Esteri di Malta, dal canto suo ha toccato nella sua relazione le conseguenze nel Mare Mediterraneo dell’attacco terroristico, dando atto che prima dell’11 settembre «c’era l’idea da noi che ogni Stato è un po’ come un “giardinetto” a sé stante: oggi invece esiste uno scambio di informazioni e di collaborazione interstatuale decisamente maggiori». Il ministro maltese ha poi ricordato la positiva esperienza di Giorgio La Pira quando, da sindaco di Firenze, organizzò negli anni ’50 i colloqui mediterranei tra le religioni e come la ritenesse non un’ingenua “poesia” ma semplicemente “Realpolitik” per costruire ponti, aprendo così la strada a quello che sta facendo Sant’Egidio in questi anni.
Mohammad Sammak, membro del Comitato nazionale islamico-cristiano per il dialogo del Libano, ha detto che pochi ricordano come, dopo l’attentato delle Torri Gemelle, è stata emessa una fatwa da parte di cinque religiosi musulmani su domanda di un militare statunitense musulmano, che chiedeva se poteva combattere contro i suoi fratelli di religione. La fatwa ammetteva che si combattesse contro persone che hanno compiuto atti terroristici. «Questa fatwa è stata ignorata dai media, quanti ne sono al corrente? Perché è stata ignorata?», si è chiesto retoricamente. La risposta è semplice: «Fanno decisamente più rumore le reazioni di odio che notizie come queste, che segnano una distanza con gli attentatori». Israel Singer, infine, rabbino di New York e nato in America qualche giorno dopo che i suoi genitori vi erano arrivati in seguito alla persecuzione nazista degli Ebrei in Europa, ha riconosciuto come «noi immigrati americani riconosciamo che l’America accetta tutti, il nostro stesso presidente si chiama Hussein», ha ricordato. «Il nostro Paese dà a tutti le sue possibilità, ogni opinione viene ascoltata in modo democratico», ha aggiunto lodando il Paese che ha accolto i suoi genitori. «Noi rifiuteremo il terrore sostituendolo con la speranza perché questo è il nome di Dio», ha concluso il rabbino.
Stefano Stimamiglio